Tuesday, January 31, 2006

Concetto e oggetto in Kazimierz Twardowski

Twardowski, Kazimierz, Contenuto e oggetto, Torino, Bollati Boringhieri, 1988

Twardowski è uno dei fondatori della Scuola di Leopoli-Varsavia, scuola che ha sviluppato molto la tradizione filosofica analitica.
Egli , nello scritto Sulla dottrina del contenuto e dell'oggetto delle rappresentazioni si riferisce all'immanenza dell'oggetto all'atto intenzionale, per cui ad ogni atto intenzionale corrisponde un oggetto immanente a cui l'atto si relaziona. Per Twardowski ogni rappresentazione si distingue in atto della rappresentazione e contenuto della rappresentazione.
E il contenuto della rappresentazione si distingue a sua volta dall'oggetto (cosa che aveva già fatto Meinong prima di lui), ma l'ambiguità del linguaggio è tale che sia il contenuto che l'oggetto sono rappresentati, mentre per "rappresentazione" si indica sia l'atto che il contenuto.
Twardowski dice che altro è il rappresentarsi qualcosa e altro è l'affermare o negare qualcosa; a tal proposito egli dice che non c'è alcuna forma di transizione tra rappresentazione e giudizio.


Cosa dire a questa introduzione?
Bisogna premettere che per ogni atto intenzionale c'è sempre uno statuto ontologico minimo per il suo oggetto: Questo è il principio a priori che confuta almeno in senso metafisico (ma non in senso pragmatico) ogni teoria dell'illusione, ogni maestro del sospetto
In secondo luogo va detto che l'atto della rappresentazione è l'evento psichico (il giudizio), mentre il contenuto è il noema, cioè la struttura ideale ed oggettiva.
La distinzione che Twardowski fa tra oggetto immanente ed oggetto trascendente (sulla scia di precedenti riflessioni di altri pensatori quali Hofler) è di ascendenza kantiana.
L'ambiguità che invece egli attribuisce al linguaggio è un'ambiguità costitutiva al carattere autoreferenziale e paradossale dell'Essere ed all'inattingibilità dell' In-sè (da cui deriva la distinzione linguaggio-metalinguaggio)
Inoltre la distinzione tra rappresentazione e giudizio ci consente di dire che
il rappresentare qualcosa è il pensare puro a cui corrisponde l'oggetto logico (ideale), mentre l'affermare o negare qualcosa è come l'asserzione di Frege, ed è già uno sfociare nel metalinguaggio, nella prassi del pensiero.
Va inoltre distinto la rappresentazione in senso stretto (codice sensoriale) e il pensare (codice logico-linguistico).
Twardowski poi (come Meinong e forse Frege) non vede la possibilità della dialettica, negando la transitabilità dal pensare al giudicare. Ma se configuriamo tale transizione come passaggio dal linguaggio al metalinguaggio essa non appare invece come naturale?
Infine anche Frege in certi punti accenna in certi punti al fatto che l'affermazione sia più comprensiva della negazione. Dunque si può ipotizzare che il puro pensare o rappresentare siano una forma implicita di affermazione?

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