Tuesday, February 12, 2008

Frege e la verità come proprietà

Linguisticamente la parola “vero” si presenta come un termine di proprietà che si vede affermato sia di enunciati che di rappresentazioni che di pensieri, sia cioè di cose sensibili che di cose che non sono oggetto di percezione. Ciò tradisce uno spostamento del significato. Inoltre è giusto dire di una rappresentazione che sia vera ? O che un’immagine sia vera, più che lo sia una pietra o una foglia ?
L’immagine deve rappresentare qualcosa e vi deve essere l’intenzione che essa sia vera. Ed in realtà una rappresentazione stessa non può essere detta vera se non rispetto all’intenzione di farla corrispondere a qualcosa. Da ciò deriva la credenza che la verità sia una relazione dell’immagine con quanto viene raffigurato, ma questo è contraddetto dall’uso della parola “vero” che non è un termine di relazione e non contiene alcun rimando a qualcosa con cui dovrebbe concordare. Se non so che un’immagine dovrebbe concordare con il Duomo di Colonia non saprei con che cosa dovrei confrontare l’immagine per decidere della sua verità. Inoltre la corrispondenza può essere completa solo se le cose corrispondenti coincidano e non siano cose distinte : ad es. l’autenticità di una moneta la si verifica facendola corrispondere stereoscopicamente con una autentica, mentre non puoi far corrispondere una moneta con una banconota, perché sono due cose distinte. Far corrispondere dunque una rappresentazione con una cosa sarebbe possibile solo se la cosa in questione fosse un’altra rappresentazione. Ma nella concezione della verità come corrispondenza è necessaria una relazione con qualcosa di esistente e non con un’altra rappresentazione. In tal caso non è possibile una concordanza completa ed una verità a metà non è punto una verità. Infatti se dovessimo far corrispondere una parte della rappresentazione ed una parte della cosa rappresentata ci troveremmo nella stessa situazione (tali parti dovrebbero essere completamente corrispondenti). Quindi siamo su una strada sbagliata. Ma staremmo su una strada sbagliata quale che sia la definizione dell’ “essere vero”, perché, quali che siano le sue caratteristiche, per verificarle dovremmo ricorrere sempre alla categoria di verità, sfociando in un circolo vizioso
Insomma, conclude Frege, la verità è qualcosa di indefinibile.
Infatti quando si afferma di un’immagine che essa è vera non le si vuole ascrivere una proprietà, ma si vuole semplicemente dire che quell’immagine corrisponde in qualche modo ad una certa cosa. “La mia rappresentazione corrisponde al Duomo di Colonia” è un enunciato e si tratta di accertare la verità di quest’enunciato. Quindi la verità delle rappresentazioni va ricondotta alla verità degli enunciati. Per enunciato si intendono non tutti gli enunciati grammaticalmente intesi, ma solo i periodi grammaticali (singole proposizioni principali o insiemi di proposizioni principali e secondarie).

Certo l’immagine deve rappresentare qualcosa per essere vera, ma l’immagine se non è “immagine di…” che immagine è ? Non si danno casi di immagini che non rappresentino niente, né è necessario che questo qualcosa sia un oggetto empiricamente sussistente, dal momento che l’immagine sta verso il suo contenuto anche come l’elemento di una classe sta in rapporto con il concetto-classe corrispondente (ad es. “ecco l’immagine di una croce greca…”). Se poi questo contenuto è anche un oggetto accessibile ai sensi (tipo il Duomo di Colonia) allora l’immagine può anche essere verificata in un senso più specifico (andando a vedere il Duomo di Colonia).
Dire che una rappresentazione sia vera solo se viene comparata con qualche altra cosa è una regola che vale anche per gli enunciati, che sono anch’essi oggetti che vengono considerati in quanto stanno per un'altra cosa. Perché la rappresentazione e l’enunciato siano veri o falsi debbono essere dei segni. La verità di una rappresentazione non la si valuta allo stesso modo con cui si valuta l’autenticità di una moneta : la relazione di autenticità è quella di assoluta somiglianza di un esemplare rispetto ad un altro esemplare paradigmatico, mentre la relazione veritativa è quella di isomorfismo strutturale tra due oggetti che possono avere molte proprietà diverse (ad es. un enunciato è molto diverso da uno stato di cose, ma può essere equivalente a quest’ultimo grazie al senso che esso esprime). E anche se la verosimiglianza presuppone la verità come criterio ideale, tuttavia non si può dire che essa sia una nozione inconsistente e che mezza verità sia equivalente a nessuna verità. Si può piuttosto dire che la verosimiglianza ad es. scientifica deve presupporre una verità filosofica, ma ciò non implica che essa sia insussistente.
L’enunciato “L’immagine del Duomo di Colonia è vera” ha uno statuto logico (essendo metalinguistico) diverso da quello dell’immagine del Duomo di Colonia, la cui verità non si riduce a quella dell’enunciato suddetto anche vi può essere equivalenza logica tra i due. Così come una qualsiasi proposizione “p” non si riduce al suo equivalente metalinguistico “p è vera”
Infine che l’equivalenza tra una rappresentazione ed un oggetto si esprima attraverso un enunciato non implica che la verità di una rappresentazione si riduca alla verità di un enunciato, ma che essa è traducibile nella verità della proposizione metalinguistica ad essa corrispondente che a sua volta è più facilmente esprimibile attraverso un enunciato.

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