Thursday, November 01, 2007

Frege e l'apriorità del Vero

Frege nel 1897 scrive un altro articolo sulla logica dove afferma che la logica si occupa del predicato "vero" ed è una disciplina normativa al pari dell'etica che ci indica quanto di più generale e valido ci sia in tutti i campo del pensiero. Le regole del ritener vero vanno pensate cone determinate dalle leggi dell'esser vero.
Frege poi critica l'idea della verità come corrispondenza, dal momento che per poter applicare questa definizione dovremmo vedere di volta in volta se la corrispondenza è vera. Questo argomento vale per tutte le definizioni di verità che considerano la verità una proprietà di una proposizione. In realtà la verità è qualcosa di così primitivo e semplice che non può essere ricondotta a qualcosa di più semplice ancora.
La verità è indefinibile altrimenti ci dovremmo interrogare sulla verità della proposizione che la definisce.
"Vero" è un predicato che a differenza degli altri viene sempre implicitamente affermato ogniqualvolta si dice qualcosa : se asserisco che la somma di 2 più 3 è 5, asserisco anche che è vero che 2 e 3 è uguale a 5. La forma dell'enunciato assertorio è propriamente ciò mediante cui affermiamo la verità e a tal fine non abbiamo bisogno della parola "vero". Dunque anche quando diciamo "E' vero che..." ciò che conta è a rigore la forma dell'enunciato assertorio.

La critica che Frege fa alla concezione corrispondentista della verità si applica a qualsiasi altra concezione di essa, anche se la concezione della verità come corrispondenza ai fatti intesi empiricamente è di gran lunga incompleta. Anche la posizione di Frege basata sull’asserzione necessiterebbe di essere fondata su di un’ asserzione che la trascende e la precede logicamente. Non si tratterebbe , come dice Frege, di doverci interrogare solo sulla verità della proposizione che definirebbe la verità, ma anche su quella che definisce la verità come "indefinibile" (la concezione stessa di Frege).
Inoltre è puerile dire che della concezione corripondentista della verità bisogna verificarne la corrispondenza, dal momento che tale concezione non intende fondare la nozione stessa di verità, per cui debba essere essa stessa giustificata come vera. In realtà la concezione della verità è circolare dal punto di vista validativo e tale circolarità può essere riassunta nell’atto unitario ma che andrebbe sempre implicitamente ripetuto dell’asserzione. Si tratta del paradosso inerente all’apriorità, all’esser sempre posto del presupposto, direbbe Hegel.
La concezione della verità come un qualcosa di indefinibile, apriorico ed intuitivo in realtà dunque non differisce sostanzialmente da quella meinongiana per cui la verità è un predicato analitico di qualsiasi proposizione.
Inoltre il rinvio ad infinitum che Frege usa per criticare il corrispondentismo, viene considerato dalla semiotica e dall'ermeneutica come una proprietà effettiva della verità (non tale dunque da giustificare una critica) : mentre Peirce accetta la semiosi infinita ed il ruolo dell'interpretante, Frege lo rifiuta, mentre Russell eWittgenstein sembrano non accorgersi della questione

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