Tuesday, August 07, 2007

Funzione e concetto in G. Frege

Frege nel saggio "Funzione e concetto" tratta del rapporto tra la nozione filosofica di "funzione" e quella logica di "concetto".
Egli inizia con il trattare della nozione ristretta di funzione (che egli ammette aver ampliato nel corso della storia il suo ambito di riferimento) e dice che, a proposito delle funzioni matematiche ad un argomento, la necessità di loro definizione nacque quando all'epoca della scoperta dell'analisi matematica superiore, si trattò di stabilire delle leggi che valessero appunto per le funzioni, che cioè ne disciplinassero l'uso. La risposta che si è potuta ottenere storicamente è che per funzione di x, cioè F(x), si intende un'espressione di calcolo (formula) contenente x. Perciò in tal caso "2 + x" sarebbe una funzione di x, mentre "2x2+2" sarebbe una funzione di 2.
Frege però obietta che tale risposta non è soddisfacente dal momento che non distingue la forma dal contenuto, il segno dal designato. Questa è un limite che consegue dal formalismo, il quale parla di segni senza contenuto e poi attribuisce loro proprietà compatibili solo con il contenuto dei segni.
Ma allora cos'è il contenuto, la denotazione di "2X2+2" ? La stessa cosa che la denotazione di "6" ovvero di "2x3" ?
Frege dice a questo proposito che ciò che è espresso nell'equazione " 2x2+2 = 6 " è che la denotazione del complesso di segni che si trova a destra è la stessa di quello che si trova a sinistra. Chi dice che "2+5" e "3+4" sono eguali, ma non sono la stessa cosa, finisce anch'egli per confondere tra segno e designato, tra forma e contenuto, come se si volesse vedere nella violetta profumata un fiore diverso dalla viola odorata, solo perchè i due nomi suonano diversamente. La diversità della designazione non può da sola essere sufficiente a fondare la diversità del designato.
Frege ammette che nel campo matematico le cose sono meno chiare, perchè la denotazione del numerale '7' non ha nulla di sensibilmente percepibile. La tendenza a non riconoscere come oggetto nulla che non si possa percepire con i sensi porta a sua volta a ritenere che gli stessi numerali siano i numeri ed in questo caso '7' e '2+5' sarebbero certamente diversi.
Frege sostiene l'insostenibilità di simile concezione in quanto non si può parlare di alcuna proprietà aritmetica del numero senza rifarsi alla denotazione del numerale : ad es. la proprietà che ha '1' di essere il risultato della moltiplicazione di sè per sè sarebbe allora una pura invenzione, giacchè nessuna ricerca microscopica o chimica per quanto approfondita potrebbe scoprire tale proprietà nella figura che chiamiamo "numerale". E per quanto possa trattarsi di definizioni, nessuna definizione può avere capacità creatrici tali da concedere ad una cosa proprietà che essa non ha a parte quella di esprimere e designare ciò di cui la definizione stessa ce la presenta come segno (se mancano tanto il senso che la denotazione non si può parlare nè di segno nè di definizione).
Si pensi al fatto, aggiunge Frege che un giorno si potrebbero introdurre numerali del tutto nuovi (come i numeri indiani rispetto a quelli romani), ma nessuno può ritenere di avere a che fare con numeri del tutto nuovi.
Se si deve allora distinguere tra numerale e la sua denotazione, allora si dovrà anche riconoscere che le espressioni "2", "1+1", "3-1" hanno la stessa denotazione, giacchè non si vede in cosa consista la differenza. Qualcuno potrebbe dire che "1+1" è una somma e 6/3 un quoziente. Ma cos'è 6/3 ? Il numero che, moltiplicato per '3' dà '6'. IL numero e non UN numero : l'articolo determinativo indica che ce ne è uno solo.
Dunque le diverse espressioni, conclude Frege, corrispondono a diverse apprensioni ed aspetti della cosa, che resta sempre la stessa. Altrimenti dovremmo dire che l'equazione "a x a = 4" ha non solo le radici "+2" e "-2", ma anche "1+1" e infinite altre diverse tra loro. Se invece si riconosce che l'equazione ha solo due radici reali, si respinge l'opinione che il segno di eguaglianza non denota alcuna completa coincidenza, ma solo un accordo parziale.
Le espressioni di calcolo denotano numeri. E perciò se le funzioni fossero solo la denotazione di un'espressione di calcolo, allora sarebbe proprio un numero e con essa non avremmo acquisito niente di nuovo per l'aritmetica. E' vero però che chi usa la parola "funzione" è solito pensare ad espressioni in cui un numero, per mezzo di una lettera (es. x), è indicato solo in modo indeterminato : ciò però non cambia niente, giacchè quest'espressione indica pur sempre un numero per quanto in modo indeterminato. Tuttavia è proprio questa notazione, che usa la x per indicare in modo indeterminato, a metterci sulla strada giusta. Si chiama 'x' l'argomento della funzione e in (2 x 1 + 1) o (2 x 4 + 4) o (2 x 5 + 5), si riconosce la stessa funzione, solo con diversi argomenti (1,4,5). L'essenza propria della funzione sta in ciò che è comune a quelle espressioni, ciò che è presente in "2 x a + a" (abbiamo messo "a" al posto di "x") e che potremmo scrivere "2 x ( )+( )".
L'argomento, continua Frege, non appartiene alla funzione, ma forma con la funzione un tutto completo : infatti la funzione di per sè sola è incompleta, è insatura ed ha bisogno di completamento. In ciò risiede la differenza tra funzioni e numeri. L'incompletezza è l'essenza stessa della funzione e grazie ad essa noi riconosciamo la stessa funzione in formule che denotano diversi numeri, mentre riconosciamo diverse funzioni in formule che denotano lo stesso numero come ad es. "2 x 1 + 1" e "4-1". Per questo inoltre siamo facilmente indotti a vedere nella forma dell'espressione l'essenza della funzione. Nell'espressione riconosciamo la funzione per il fatto che la pensiamo scomposta e questa sua possibile scomposizione ci viene resa comprensibile dalla sua formazione.
Il segno dell'argomento e l'espressione della funzione (le due parti in cui viene scomposta la formula) sono eterogenee, perchè l'argomento è un numero, un tutto in sè conchiuso, cosa che la funzione non è. ciò può essere paragonato alla divisione di un segmento con un punto, dove si è inclini a calcolare il punto di divisione per entrambe le parti del segmento. Ma per evitare di calcolare due volte bisogna calcolare il punto di divisione solo per una parte del segmento. Questa parte è in sè pienamente conchiusa e va paragonata all'argomento, mentre dall'altra parte mancherà qualcosa. Infatti non le appartiene il punto di divisione che la completa. Se ad es. si dicesse "La funzione '2 x a + a' ", allora (a)non è da considerare come appartenente alla funzione, ma la lettera serve solo ad indicare l'integrazione necessaria, rendendo noto dove deve essere introdotto il segno dell'argomento.
Ciò che si ottiene quando si completa la funzione con il suo argomento, lo chiamiamo valore della funzione per questo argomento. Ad es. '3' è il valore della funzione "2 x a + a" per l'argomento '1' (2 x 1 + 1 = 3).
Ci sono funzioni, come ad es. "2+a-a" oppure "2+0xa", il cui valore è sempre lo stesso, qualunque sia il suo argomento. Se si calcolasse l'argomento come appartenenente alla funzione, si dovrebbe dire che il numero '2' è questa funzione. Ma non è giusto perchè comunque la funzione deve essere distinta da '2'. Infatti l'espressione di questa funzione deve sempre indicare uno o più posti che sono destinati ad essere riempiti dal segno dell'argomento.
Ad es. nella geometria analitica considerando l'argomento come valore numerico di una ascissa e il corrispondente valore della funzione come valore numerico dell'ordinata di un punto, otterremmo un insieme di punti che nei casi ordinari si presenta all'intuizione come una curva. Ogni punto della curva corrisponde ad un argomento ed al rispettivo valore della funzione. Ad es. "y = (a x a) - 4a" ci dà un a parabola; "y" indica il valore della funzione e il valore numerico dell'ordinata, mentre "a" indica l'argomento e il valore numerico dell'ascissa. Se facciamo il confronto con la funzione "a(a-4)" troveremo che le due funzioni hanno sempre lo stesso valore per lo stesso argomento e la curva della prima è la stessa di quella della seconda. Così la funzione "a(a-4)" ha lo stesso decorso di valori della funzione "(a x a) - 4a". Se scriviamo "a(a-4) = (a x a)- 4a" non eguagliamo una funzione all'altra, ma ci limitiamo ad eguagliare i valori delle due funzioni. E se intendiamo questa equazione in modo che debba valere per qualunque argomento sia sostituito ad x (o ad 'a'), avremo così espresso la generalità di un'equazione. Potremmo però anche dire "Il decorso di valori della funzione a(a-4) è uguale a quello della funzione (a x a - 4a)" ed avremo allora un'equazione tra decorsi di valori. Che sia possibile concepire la generalità di un'equazione tra valori di funzioni come un'equazione tra decorsi di valori, deve essere ritenuto una legge fondamentale anche se non ancora dimostrabile (funzione, nel senso del termine qui utilizzato, è l'antecedente logico del concetto di decorso di valori).
Si può ora, dice Frege, anche introdurre un breve modo di designare il decorso di valori di una funzione, sostituendo con una lettera maiuscola il segno dell'argomento e chiudendo tutto tra parentesi. Così E(E x E - 4E) è il decorso di valori di (a x a - 4a), mentre A(A x (A - 4)) è il decorso di valori di a(a-4), cosicchè in "E(E x E - 4E) = A(A x (A - 4))" si esprime che il primo decorso di valori è lo stesso che il secondo. L'espressione "a(a-4) = (a x a)- 4a" esprime lo stesso senso, ma in modo diverso. esso rappresenta il senso come generalità di un'equazione, mentre la nuova espressione introdotta è semplicemente un'equazione in cui sia la parte destra sia quella sinistra hanno una denotazione in sè conclusa.
Mentre in "a(a-4) = (a x a)- 4a" sia la parte destra che quella sinistra indicano un numero solo in maniera indeterminata. Potremmo sostituire ad (a) la lettera (x) senza cambiare il senso, giacchè entrambe le lettere indicano un numero solo in modo indeterminato. Ma se riuniamo entrambe le parti in un'equazione, dobbiamo scegliere per entrambe le parti la stessa lettera, ed in questo modo esprimere qualcosa che non è contenuto in nessuna delle due parti prese di per sè nè nel segno di uguaglianza. Ciò che esprimiamo è proprio la generalità, sia pure quella di un'equazione.
Come per esprimere la generalità si indica un numero in modo indeterminato con una lettera, così si deve anche indicare una funzione in modo indeterminato con una lettera. Usandosi f o F si hanno espressioni come F(x) dove x rappresenta l'argomento. Il bisogno di completamento della funzione è espresso dal fatto che la lettera f o F porta con sè una parentesi il cui spazio vuoto è destinato ad accogliere il segno dell'argomento. Perciò "E f(E)" indica il decorso di valori di una funzione lasciata indeterminata.
Come è stata ampliata la denotazione della parola "funzione" con il progredire della scienza ? In primo luogo è stato ampliato l'ambito dei tipi di calcolo che contribuiscono alla formazione di una funzione. All'addizione, moltiplicazione ed elevazione a potenza si aggiunsero diversi tipi di passaggio al limite, senza la consapevolezza della novità che ciò comportava. In secondo luogo è stato allargato l'ambito dei possibili argomenti e valori delle funzioni mediante l'assunzione dei numeri complessi. Conseguentemente si è voluto determinare più ampiamente il senso di espressioni come "somma", "prodotto" etc.
Frege dice che forse si può andare oltre in entrambi gli aspetti : è possibile introdurre oltre i segni che servono alla formazione di un'espressione (+,-,/) anche quelli (tipo =, >,<)che consentono di parlare della funzione "a x a = 1" dove 'a' rappresenta l'argomento. Il primo problema che emerge in tale contesto è quali siano i valori di questa funzione per argomenti diversi : per alcuni valori dell'argomento otterremo equazioni vere (es. a = 1 oppure a = (-1)), per altre equazioni false.
Si può affermare, dice Frege, che il valore della funzione (a x a = 1) è un valore di verità. Si può distinguere il valore di verità (il Vero) dal valore di verità del falso (il Falso). Mentre con a = 2, "a x a = 4" denota il Vero (così come "2 x 2" denota "4"), invece "a x a = 1" denota il Falso.
Perciò, dice Frege, "2 x 2 = 4" e "2>1" denotano la stessa cosa (il Vero).
Così (2 x 2 = 4)= (2>1).
Qualcuno potrebbe obiettare che "2 x 2 = 4" e "2>1" esprimono pensieri del tutto diversi. Ma anche "4x4 = 16" e "2x2x2x2 = 16" esprimono pensieri diversi, ma sono sostituibili tra loro, perchè entrambi i segni hanno la stessa denotazione. Di qui si vede che l'eguaglianza della denotazione non implica l'eguaglianza del pensiero.
Se diciamo "La stella della sera è un pianeta il cui periodo di rivoluzione è minore di quello della Terra" il pensiero così espresso è diverso da quello espresso dall'enunciato "La stella del mattino è un pianeta il cui periodo di rivoluzione è minore di quello della Terra". Infatti chi non sapesse che la stella del mattino è la stessa stella della sera, riterrebbe vero uno degli enunciati e falso l'altro. Ma la denotazione di entrambi gli enunciati deve essere la stessa perchè solo le parole "stella del mattino" e "stella della sera" sono state tra loro scambiate, parole che hanno la medesima denotazione, sono cioè nomi proprio dello stesso corpo celeste. "4x4" e "2x2x2x2" hanno la stessa denotazione, ma non lo stesso senso, non lo stesso pensiero.
Come scriviamo "2x2x2x2 = 4x4", altrettanto legittimamente possiamo scrivere "(2x2x2x2 = 4x4) = (4x4 = 4-al-quadrato)"
oppure "(2x2 = 4) = (2>1)"
Frege conclude che si va sempre più diffondendo l'opinione che l'aritmetica sia una logica ulteriormente sviluppata e che una fondazione più rigorosa delle leggi aritmetiche riconduca a leggi puramente logiche e ad esse soltanto. La lingua simbolica aritmetica deve essere ampliata sino a diventare una lingua simbolica logica.
Il valore della nostra funzione "a x a = 1" è sempre uno dei due valori di verità. Quando il valore della funzione è il Vero possiamo esprimerci così : "Il numero (-1) ha la proprietà di avere 1 come suo quadrato" oppure "(-1) è radice quadrata di (1)" oppure ancora "(-1) cade sotto il concetto di 'radice quadrata di 1' ". L'inverso avviene se il valore della funzione è il Falso. Da ciò vediamo come ciò che in logica è chiamato "concetto" sia intimamente connesso con ciò che chiamiamo "funzione". Anzi, un concetto è una funzione il cui valore è sempre un valore di verità. Anche il valore della funzione " (x+1) x (x+1) = 2 (x+1)" è sempre un valore di verità (Vero o Falso) e questo vale anche per " a x a = 1". Le due funzioni (sostituendo 'a' con 'x') hanno lo stesso valore per gli stessi argomenti. Esse dunque hanno lo stesso decorso di valori è ciò lo esprimiamo così :
E(E x E = 1) = A("(A + 1)x (A + 1)" = "2(A + 1)").
In logica ciò è chiamato "uguaglianza dell'estensione dei concetti"
Possiamo quindi designare come estensione del concetto il decorso di valori di una funzione il cui valore è per ogni argomento un valore di verità (Vero o Falso).
La forma linguistica dell'equazione è un'enunciato dichiarativo che contiene come suo senso un pensiero, o almeno pretende di contenerne uno : questo pensiero è in generale vero o falso e dunque ha un valore di verità che deve essere inteso come denotazione di un enunciato, così come il numero 4 è la denotazione dell'espressione "2+2" è Londra è la denotazione dell'espressione "la capitale dell'Inghilterra".
Gli enunciati dichiarativi possono a loro volta pensarsi scomponibili in due parti di cui una è in se stessa conchiusa, l'altra è invece insatura. Così ad es. l'enunciato "Cesare conquistò la Gallia" si può scomporre in "Cesare" e "conquistò la Gallia". Quest'ultima parte è insatura e contiene un posto vuoto : solo quando questo posto viene riempito da un nome proprio o da un'espressione fungente da nome proprio, appare un senso conchiuso. Chiamo funzione la denotazione della parte insatura, mentre Cesare è l'argomento.
Dunque non solo i numeri, ma anche gli oggetti in genere sono ammissibili come argomento : abbiamo già introdotto i valori di verità come possibili valori di funzioni, ora possiamo considerare tali anche gli oggetti, senza limitazioni. Ad es. partiamo dall'espressione "la capitale dell'Impero tedesco" che funge da nome proprio e denota un oggetto. La scomponiamo in due parti "La capitale di" e "L'impero tedesco" (utilizzando il genitivo per la prima parte), così che la prima parte è insatura, la seconda conchiusa. La prima sarà espressa come "la capitale di x", espressione di una funzione. Dato come argomento l'Impero Tedesco, avremo Berlino come valore della funzione.
Se dunque ammettiamo che gli oggetti, senza alcuna limitazione, possano figurare come argomenti e come valori di funzioni, ci possiamo chiedere che cosa viene qui chiamato oggetto. Abbiamo a che fare con qualcosa che per la sua semplicità non è suscettibile di una scomposizione logica. Possiamo dire brevemente : oggetto è tutto ciò che non è funzione e la cui espressione non contiene così alcun posto vuoto. Un enunciato dichiarativo non contiene alcun posto vuoto e pertanto la sua denotazione deve considerarsi come un oggetto. Ma questa denotazione è un valore di verità. Conseguentemente i due valori di verità sono oggetti.
L'equazione tra due decorsi di valori "E(E x E - 4E) = A(A x (A - 4))" può essere scomposta in "E(E x E - 4E)" e " ( ) = A(A x (A - 4))" . Questa seconda parte ha bisogno di completamento, in quanto alla sinistra del segno di eguaglianza c'è un posto vuoto. La prima parte, "E(E x E - 4E)", denota un oggetto perchè in sè conchiusa. I decorsi di valori di funzioni sono oggetti, mentre le funzioni stesse non lo sono. Abbiamo chiamato "E(E x E = 1)" un decorso di valori, ma potevamo anche designarlo come estensione del concetto radice quadrata di 1. Anche le estensioni dei concetti sono quindi oggetti, sebbene i concetti stessi non lo siano.
Riguardo alle denotazioni dei segni aritmetici già utilizzati, finchè gli unici oggetti con cui si ha a che fare sono i numeri interi, le lettere (a) e (b) in "a+b" indicano solo numeri interi, il segno di addizione deve essere spiegato solo nella sua utilizzazione tra numeri interi. Ogni ampliamento dell'ambito degli oggetti indicati da (a) e (b), richiede una nuova spiegazione del segno di addizione. L'imperativo del rigore scientifico sembra allora quello di prendere delle precauzioni affinchè non si effettuino inavvertitamente dei calcoli su segni vuoti, credendo invece di aver a che fare con oggetti. Tale triste esperienza la si è già fatta nel caso delle serie infinite divergenti.
E' dunque necessario stipulare delle regole dalle quali risulti cosa ad esempio denoti "# +1" qualora "#" denoti il sole. Come si stabiliscano queste regole è relativamente indifferente : la cosa essenziale è che esse siano stipulate in modo che "a+b" mantenga sempre una denotazione qualunque siano i segni di determinati oggetti che possano sostituire (a) e (b). Conseguentemente, per quel che riguarda i concetti, essi debbono avere per ogni argomento come valore un valore di verità e per ogni oggetto deve essere determinato se esso cada o no sotto il concetto.
In pratica i concetti devono essere rigorosamente delimitati, altrimenti sarebbe impossibile stabilire per loro delle leggi logiche.
Per ogni argomento x, per il quale "x+1" risulti essere senza denotazione, ne consegue che anche la funzione "x+1 = 10" non avrebbe nessun valore e quindi nessun valore di verità, cosicchè il concetto " ciò che addizionato ad '1' dà '10' " non avrebbe confini ben distinti. La rigorosa delimitazione dei concetti implica che anche per le funzioni in generale ci debba essere un valore per ogni argomento.

Le tesi di Frege qui esposte sono un grande tentativo di collegare matematica e logica e di usare i concetti matematici per fondare una filosofia del linguaggio logicamente ispirata. Si tratta di una grande avventura speculativa che criticherò senza mai smettere di ammirare.
Frege ha principalmente ragione nel dire che i formalisti da un lato parlano di segni che non abbisognano di contenuto per poi attribuire ad essi delle proprietà che possono essere proprie solo del contenuto. E' giusto dire che le proprietà numeriche non sono deducibili dai meri segni e che nessuna definizione può avere capacità creatrici tali da concedere ad una cosa proprietà che esso non ha. Se infatti mancano del tutto sia il senso che la denotazione,non si può parlare nè di segno nè di definizione. Frege qui giustamente argomenta a favore del realismo logico contro il formalismo (che a suo dire ha risvolti nominalistici)
Tuttavia da un lato Frege fa male a negare qualsiasi valenza conoscitiva a ciò che accade nella dimensione che sembra (e sottolineo "sembra") puramente segnica, mentre d'altro canto non è del tutto conseguente con il suo realismo logico nello sviluppare le sue tesi.
Infatti in primo luogo è proprio vero che la diversità della designazione non può da sola essere sufficiente a fondare la diversità del designato ? La diversità del nome o della formula non ci offre nuovi sensi che si riferiscono al denotatum ? Nuove proprietà dell'oggetto a cui ci si riferisce ? Frege dice che la mancanza nel numero della dimensione sensibile rende le cose meno chiare, dal momento che la distinzione tra segno e designato è meno netta. In realtà a nostro parere c'è una ragione più profonda di tale compenetrazione tra segno e designato ideale e la semantica potrebbe essere la dimensione propria di questo mistero. I segni sono veicoli puramente materiali del significato ? Una buona storia della notazione matematica (si pensi ad Ifrah)può problematizzare quest'assunto di partenza. L'elaborazione della notazione indo-araba ha reso possibile altre scoperte della matematica, ha evidenziato altre proprietà dei numeri. In realtà neanche i segni sono nostri (pensarlo è il principale errore del formalismo). Nostra è solo l'ulteriorità, l'atto che di volta in volta si appropria degli enti e ne fa segni di altri enti. E la semiosi stessa è un mistero : Come un ente può essere segno ? Esprimere e designare enti e proprietà di questi ultimi senza condividere queste proprietà ? Quali dimensioni del senso fanno da ponte tra un segno che non è più immagine ed una realtà che è sempre più remota ?
In secondo luogo Frege dice che per "funzione di x" si intende un'espressione di calcolo contenente x, una formula che include la lettera x, non accorgendosi che altro è un'espressione che contiene x ed altro è una formula contenente la lettera x. Infatti 'x' e la "lettera x" sono la stessa cosa ? Frege, come abbiamo visto, dice che mettere "2 + x" e "2X2+2" sullo stesso piano non è giusto, perchè non viene distinto il segno dal designato. Ma ciò vale se, come per i formalisti, 'x' è solo un segno. Perchè Frege, pur criticando il formalismo, diventa formalista quando si tratta della 'x' ? In realtà non c'è una differenza profonda tra 'x' e '2' ( Frege conviene poi su questo, ma la risultante delle sue tesi è comunque ambigua.. Il fatto che a '2' diamo una maggiore determinazione che ad 'x' è il frutto di una convenzione e di una mancanza di riflessione sulle condizioni di possibilità che sottostanno all'uso stesso dei segni. Un formalista potrebbe dire che '2' è un mero segno, come'x'. Un realista (come me) direbbe invece che 'x' rimanda ad una realtà ontologica come '2'. E' cosa diversa poi il segno dalla forma (che invece Frege sembra assimilare): la forma è una proprietà dei segni ed è già ad un livello più ideale dei segni stessi : la funzione non è un'espressione, ma il senso (sinn) dell'espressione con il segno 'x'.
Ma veniamo alla 'x'. In algebra 'x' è detta "incognita", in logica "variabile", Magari è '2', ma non lo sappiamo, lo dobbiamo scoprire. Non sapendolo può essere 1,2,3...n. Dunque 'x' non è un segno come 'casa' per una casa ? Ma un segno che sta per un numero qualsiasi ? O per un numero determinato che però non abbiamo ancora individuato ? O per quello che Biermann chiamava l'elemento indeterminato ?
'x' è una generalità, epistemicamente una variabile, cioè un numero di volta in volta diverso a seconda della forma nella quale è inserito. Non è esso stesso una forma (una forma è "2+1", la versione operazionale di un numero, una stringa, un algoritmo). Ma torneremo sulla 'x'. Ora ci soffermeremo sulla distinzione che Frege individua tra funzione ed argomento.
Frege dice che l'argomento non appartiene alla funzione, ma insieme alla funzione forma un tutto completo, perchè altrimenti la funzione sarebbe incompleta (insatura. In realtà la funzione è il Tutto composto da argomento e dalla locuzione funzionale, mentre Frege riduce la funzione allo locuzione funzionale stessa.
In realtà andrebbe distinta la funzione (locuzione funzionale + argomento), la locuzione funzionale (formula incompleta saturabile dalla concretizzazione numerica di una variabile) e schema funzionale (stringa del tutto priva di numeri e caratterizzata solo da variabili). Esempio della prima è un'operazione qualsiasi (4+5 +8),esempio della seconda è "4+5+x", esempio della terza è "x+y+z". Ma anche questa classificazione può essere considerata problematica, allo stesso modo dell'argomentazione di Frege a questo proposito. Comunque Frege confonde funzione e locuzione funzionale, mentre non prende in considerazione affatto lo schema funzionale.
Oserei dire che queste aporie sono legate alle aporie della relazione evidenziate dal vecchio provocatore F. H. Bradley. Se una funzione si può considerare una relazione, si può dire che una funzione non è il Tutto (compresi i termini relati) ad es. f(3), nè è un astratto rapporto che prescinde atomisticamente dai termini ad es. f( ), ma un che di indefinito come f(x). Dunque la variabile (x) consente anche di pensare ad una relazione ? Il massimo di purezza che una relazione/funzione può avere è possibile grazie ad una variabile/generalità ?
Ma bando alle ipotesi metafisiche e continuiamo con Frege :il quale dice che risultato della funzione completata dal suo argomento è il valore dela funzione per questo argomento. Dice Frege che, nel caso delle funzioni il cui valore è sempre lo stesso quale che sia l'argomento (es. "2+x-x" o "2+0xa") se si calcolasse l'argomento come appartenente alla funzione, allora si dovrebbe dire che il numero 2 (nei casi esemplificati) è questa funzione, ma in realtà la funzione va distinta dal valore della funzione, dal momento che l'espressione di una funzione deve sempre indicare uno o più posti destinati ad essere riempiti dall'argomento. A questi argomenti di Frege va ribattuto che la funzione è una totalità concreta, una forma interamente saturata, che può essere tranquillamente riassunta dal suo valore. Grazie a ciò, si può ben dire che "4+5+8 = 17", in cui 17 è il valore della funzione "4+5+8", ma è altresì il correlato numerico della funzione stessa. Perciò la funzione è di volta in volta il valore della funzione, così come la variabile è di volta in volta un determinato numero. Quello che Frege dice vale invece per la locuzione e per lo schema funzionale.
Funzione ed argomento dunque non sono realtà assolutamente distinte, dal momento che la funzione si concretizza sempre in un numero, così come l'argomento e nelle equazioni bisogna stabilire il valore della variabile (o delle variabili)e dunque determinare l'argomento per poi determinare il valore della funzione.
Frege poi dice che in "a(a-4) = (a x a)- 4a" ci troviamo dinanzi a due funzioni diverse che hanno sempre lo stesso valore, quale che sia l'argomento una volta determinato, dunque due funzioni che hanno lo stesso decorso di valori. In realtà è forse più opportuno dire che si tratta di due funzioni numericamente equivalenti, ma algoritmicamente differenti ( cioè con uno schema funzionale differente).
Si può asserire che tale equivalenza ("a(a-4) = (a x a)- 4a") non si può stabilire empiricamente (come si potrebbe stabilire "1+1 = 3-1") ma è stabilita dall'applicazione di regole logiche ? Per cui l'algebra è un insieme di regole per la manipolazione di segni che già collega la matematica alla logica ?
In realtà quando Frege stabilisce un'equivalenza tra la generalità di un'equazione tra valori di una funzione e l'equazione tra decorsi di valori, introducendo questi ultimi, incorre a mio parere in una ridondanza simbolica. Se infatti è possibile fondare logicamente ed operativamente l'equivalenza tra funzioni con lo stesso valore numerico, non è necessario ricorrere al decorso di valori che è già esemplificato dall'uso dello stesso segno per la variabile. Per questo motivo, perchè utilizzare un ulteriore simbolo per designare un decorso di valori che non va aggiunto alla funzione, dal momento che questa basterebbe a se stessa ?
Frege dice di sostituire con una lettera greca (qui si è utilizzata la maiuscola) il segno dell'argomento. In realtà egli aggiunge anche una lettera, altrimenti come da "(a x a)- 4a" si deriverebbe "E(E x E - 4E)" ? Forse "(a x a)- 4a" dà un'idea di apertura dal momento che come stringa può essere allungata da altre locuzioni funzionali, mentre invece il chiudere tra parentesi la funzione come in "E(E x E - 4E)" sembra darle una maggiore e più precisa determinazione, la rende conchiusa. Ma in tal caso perchè mettere di nuovo le lettere fuori della parentesi ? Inoltre Frege, come abbiamo visto dice che se riuniamo "a(a-4)" e "(a x a)- 4a" in un'equazione dobbiamo scegliere per entrambe le parti la stessa lettera, ed in questo modo esprimere qualcosa che non è contenuto in nessuna delle due parti prese di per sè nè nel segno di uguaglianza, e cioè la generalità. In realtà non si tratta semplicemente di esprimere la generalità : "a(a-4) = (a x a)- 4a" è molto diversa da "(a x a)- 4a = 1-1" con a=4. Infatti "a(a-4) = (a x a)- 4a" si può ottenere attraverso altre progressive equivalenze logiche e non è sottoposta all'equivalenza contingente del decorso dei valori come un'equazione del tipo 5-2 = 4-1 che è in realtà un'equazione 5-2 = 3 = 4-1 con un prodotto intermedio che è il valore della funzione. Tali equivalenze sono possibili solo se l'argomento è lo stesso sia nella parte sinistra che in quella destra dell'equazione. Invece nel caso di "E(E x E - 4E) = A(A x (A - 4))" , a parte la complicazione grafica, l'equivalenza risulta essere assolutamente contingente e delegata alla verifica del decorso dei valori nella funzione. Tutto ciò però a scapito dell'esistenza cara a Frege di leggi logiche alla base di quelle della matematica.
Frege estende poi la denotazione della parola "funzione". Questa è la parte più interessante ed azzardata del suo tentativo : infatti il valore della funzione da valore numerico diventa valore di verità. Tale estensione metaforica va giustificata.
Altro è dire che "2x2 = 4" e "2>1" sono veri, altro è dire che "(2x2 = 4) = (2>1)". Altrimenti saremmo alla logica primitiva per cui se "A è bello" e "B è bello" allora A=B. Frege ritorna al ragionamento che Platone problematizzò nel Sofista ?
Frege argomenta che due espressioni che denotano la stessa cosa, non per questo esprimono lo stesso pensiero (ad es. "4x4 = 16" e "2x2x2x2 = 16" esprimono pensieri diversi, ma sono sostituibili tra loro, perchè entrambi i segni hanno la stessa denotazione). Tuttavia il fatto che non tutte le espressioni denotanti la stessa cosa esprimono lo stesso pensiero, non implica che tutte le espressioni che non formulano lo stesso pensiero abbiano la stessa denotazione. Tocca sempre a Frege fornire le ragioni per cui "2x2 = 4" e "2>1" denotano la stessa cosa.
L'analogia con la "stella del mattino" e la "stella della sera" non è del tutto appropriata, in quanto tali espressioni che linguisticamente sono ricomprese nel sinn si riferiscono a dei sense-data o a dei fenomeni fisici. Essi perciò comporterebbero una riflessione a parte. Dire infatti che "stella del mattino" e "stella della sera" sono nomi propri dello stesso corpo celeste è semplicistico. Sono in realtà nomi che si riferiscono attraverso due diversi sinn a due fenomeni diversi che vengono ricondotti ad uno stesso oggetto tramite una teoria.
Frege potrebbe sostenere forse che "(2x2 = 4) = (2>1)" se trasformasse tale rapporto in un equivalenza logica giustificata da tutta una serie di equivalenze. Se cioè si riuscisse a trasformare la matematica in una serie di equivalenze o almeno di implicazioni in modo da trasformarla in una gigantesca proposizione molecolare con un' unica denotazione : Il Vero. Ma questo non è il programma di Hilbert ?
Quando Frege dice poi che un concetto è una funzione il cui valore è sempre un valore di verità, in quanto l'asserto in cui si risolve una funzione sarebbe del tipo "S è P" che in quanto tale è vero o falso, c'è da dire che sarebbe opportuno introdurre distinzioni più sottili corrispondentemente a quella tra funzione, locuzione funzionale e schema funzionale. Si può dire che alla funzione concreta corrispone il concetto che è l'unione tra il soggetto (argomento) e il predicato (locuzione funzionale), unione che può essere asserita o negata (vera o falsa); al predicato corrispone la locuzione funzionale dove l'argomento è ancora la variabile considerata come incognita; allo schema funzionale corrisponde invece la predicazione (relazione predicativa), dove entrambi (soggetto e predicato) sono variabili. Hegelianamente il concetto è visto come funzione concreta, come un che di proposizionale.
Frege dice che il concetto è il cadere di un oggetto sotto di esso. A parte la circolarità della definizione (che contiene cioè ciò che vuole definire e dunque rinvia ad infinitum la stessa definizione), perchè allora Frege parla del concetto di "radice quadrata di 1", dal momento che nessun oggetto cade sotto questo concetto ? Forse perchè anche l'insieme vuoto è un insieme ? Il non cadere sotto un concetto è pur sempre un cadere ? In realtà solo in una concezione dialettica la tesi della coimplicazione tra concetto e valore di verità può avere senso : il concetto non può essere il solo predicato, ma l'intera proposizione.
Inoltre anche dire che '4' è denotazione di '2+2' è sbagliato. Si può magari dire che 4 è denotazione di "4" e 2+2 di "2+2", o che denotazione di "4" e di "2+2" è lo stesso numero.
Anche dire che Londra è la denotazione de "la capitale dell'Inghilterra" è errato : si può dire che "Londra" è un nome di cui uno dei sensi è "La capitale dell'Inghilterra" e la cui denotazione è la città di Londra, della quale i diversi sensi evidenziano proprietà e relazioni con altro oggetti.
Frege divide poi "Cesare conquistò la Gallia" in I) Cesare (parte satura e completa) e II)...conquistò la Gallia (parte insatura e incompleta). Ma perchè considerare l'argomento Cesare invece che come componente satura, come un termine di più relazioni ? Infatti la proposizione suddetta si può dividere anche in I) Cesare conquistò...(parte insatura e incompleta) e II) la Gallia (parte satura e completa).Come a dire che (x + 4) può corrispondere a (5 + y) sempre che X=5 e y=4. Non solo Cesare è un argomento, ma anche la Gallia, anche se qualcuno potrebbe dire che il soggetto grammaticale di un enunciato è l'argomento di una proposizione, mentre un altro complemento grammaticale dell'enunciato è solo indirettamente argomento della stessa proposizione, ma di questo parleremo un'altra volta.
Frege opera anche un'altra estensione e cioè dai valori di verità come possibili valori di funzioni agli stessi oggetti come possibili valori di funzioni : ad es. in "La capitale dell'Impero tedesco" (con "La capitale di..." parte insatura, espressione di una funzione se accompagnata dalla variabile, e "Impero tedesco" parte satura e argomento della funzione) "Berlino" è il valore della funzione, cioè la risposta alla domanda "Qual è la capitale dell'Impero Tedesco?", così come "17" è il valore della funzione "4x + 5" con x=3. Qui l'analogia di Frege con la funzione matematica è più pertinente, perchè "Berlino" è una risposta ad una domanda così come "17" nel caso suddetto. In questi casi si stabilisce una equivalenza (tra "4x + 5" e "17" e tra "La capitale dell'Impero tedesco" e "Berlino"), mentre nel caso del valore di verità si valuta un'equivalenza già data e si è in una dimensione metalogica dove le alternative non sono illimitate (numeri o oggetti) ma bivalenti (vero o falso). E questo per non evidenziare che anche in "la capitale dell'Impero tedesco" è possibile operare una divisione utilizzando un altro criterio e cioè tra "La capitale" (parte satura) e "dell'Impero tedesco" (parte insatura). In base a questo ragionamento come si può pensare in base alla prima distinzione alla "Capitale dell'Impero Austriaco",così in base alla seconda distinzione si può pensare a "Il Kaiser dell'Impero tedesco".
E poi ancora se la funzione, in contrapposizione all'oggetto, viene considerata come qualcosa che contiene un posto vuoto, che ne è del valore della funzione come valore di verità, visto che la funzione rimane qualcosa di vago ? Anche qui Frege sconta la sua ambiguità, dal momento che da un lato concepisce la funzione come qualcosa che non è saturato (la locuzione funzionale) dall'altro ritiene che si possa concepire una funzione saturata (quello che io chiamo la funzione vera e propria) quando l'argomento non è più una variabile, ma un oggetto definito
Inoltre Frege dal fatto che l'oggetto è un qualcosa che non contiene posti vuoti (un atomo logico ?) e dal fatto che un enunciato dichiarativo non contiene alcun posto vuoto, ne deduce che la sua denotazione deve considerarsi come un oggetto. Ma questa denotazione è un valore di verità. Conseguentemente i due valori di verità sono oggetti. Anche qui l'appartenenza alla stessa classe ("non contenente posti vuoti")
di due elementi (oggetti, enunciati e conseguentemente valori di verità) porta arbitrariamente all'equivalenza tra enunciati ed oggetti e tra valori di verità ed oggetti. In realtà il valore della funzione è un oggetto, se la funzione è un concetto, il valore della funzione è un valore di verità se la funzione è una proposizione, l'oggetto è la denotazione del linguaggio oggetto, il valore di verità è invece la denotazione a livello-metalinguistico : perchè si possano considerare i valori di verità come oggetti, bisogna identificare concetti e proposizioni, sovrapporre linguaggio e metalinguaggio. Insomma si tratta di un'operazione che ha implicazioni che vanno affrontate esplicitamente.
Frege riduce ad oggetti non solo i valori di verità delle funzioni, ma anche il decorso di valori delle funzioni. Ma quest'ultimo è la stessa funzione con la sua variabile (o posto vuoto), cosa di cui invece Frege non si accorge dal momento che sulla distinzione tra valore di una funzione e funzione stessa egli basa buona parte della sua tesi. Ma del resto se "(a x a) - 4a" equivale ad un numero, perchè la funzione non deve equivalere al valore della funzione stessa ?
Frege equiparando decorso di valori e estensione del concetto, considera quest'ultimo come un oggetto, anche se non fa la stessa cosa con il concetto stesso: Perchè mai questo ? L'estensione di un concetto non è l'esplicazione del concetto ad un certo livello di analisi ? Perchè rendere la distinzione tra concetto e sua estensione un che di rigido ? Perchè rendere l'estensione di un concetto con la formula ridondante del decorso di valori e non sintetizzarla nella funzione stessa con la sua variabile ? La variabile non esemplifica senza aggiunte la generalità ? O meglio la generalità non è indissolubilmente legata alla interpretazione del segno, dal momento che il segno stesso rende la generalità un particolare tra tanti, per cui aggiungere segni (o sostituire le variabile con una parentesi vuota) è un'inutile fatica di Sisifo ?
Frege anticipa in un certo senso il principio di verificazione, in un senso addirittura allargato anche all'ambito logico-ideale, quando dice che bisogna stare attenti ad evitare che un'espressione diventi priva di denotazione. Forse per "denotazione" egli intende "determinazione", ma allora in che senso la denotazione si differenzierebbe dal sinn ? E perchè per Frege è parzialmente indifferente come si stabiliscano le regole da cui risulti cosa denoti "# +1" ? Il come è fuori dall'analisi filosofica ? Perchè dalla possibilità di stabilire la denotazione dipende la possibilità di stabilire leggi logiche per i concetti ? Perchè le leggi logiche sono legate necessariamente al valore di verità ? Ma ciò non vale solo per la logica proposizionale ? Se dobbiamo avere un valore di verità per ogni concetto, quest'ultimo è assimilabile ad una proposizione ? Una funzione " x + 1 " senza denotazione potrebbe avere sinn ?
Insomma , questo scritto di Frege è ad un tempo tra i più geniali e tra i puiù ambigui ed azzardati. Esso per essere meglio compreso abbisogna della lettura e dello studio degli altri suoi saggi scritti in questo periodo

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