Sunday, November 04, 2007

Frege e l'incompletezza degli enunciati rispetto ai pensieri

La teoria dell'indipendenza del pensiero dal pensante sembrerebbe contraddetta dal fatto che un enunciato come "Io ho freddo" può essere vero per uno e falso per un altro, e dunque non vero in sè. Ciò dipende dal fatto che questo enunciato, proferito da persone diverse, esprime pensieri diversi. Le semplici parole non contengono l'intero senso, ma si deve tenere conto di colui che le pronuncia. Così, in molti casi, la lingua parlata richiede l'accompagnamento dei gesti, dell'espressione del volto e delle circostanze accessorie. La parola "io" appunto designa persone diverse in enunciati proferiti da persone diverse. Non è necessario che il pensiero che si ha freddo sia pronunziato da colui che ha freddo : ciò può essere fatto anche da un altro che designi con il nome proprio colui che ha freddo. Il pensiero dunque può avere come rivestimento un enunciato più idoneo a mostrare la sua indipendenza dal soggetto pensante. E' in virtù di questa possibilità che il pensiero si differenzia da uno stato d'animo che può essere esternato con un'interiezione. A parole come "qui" e "ora" viene conferito un senso completo sempre e solo dalle circostanze in cui vengono impiegate. All'enunciato "Piove", va aggiunto il dove e il quando. Questo enunciato, una volta scritto, spesso non ha più un senso completo, essendo venuti meno quegli accenni al dove e al quando e a chi l'ha proferito. Per il senso di un enunciato come "Questa rosa è bella" contenente un giudizio estetico, è essenziale chi lo proferisce, anche se la parola "io" non vi figura. Tutte queste apparenti eccezioni vanno spiegate osservando che lo stesso enunciato non sempre esprime lo stesso pensiero, perchè le frasi richiedono integrazione per ottenere un senso completo, perchè le frasi richiedono integrazione per ottenere un senso completo e tale integrazione può variare a seconda delle circostanze.
Mentre le rappresentazioni sono proteiformi e fluttuano senza confini netti, i pensieri rimangono costanti, atemporali e aspaziali : se risultasse ad es. che la legge di gravitazione non è più vera da un certo momento in poi, dovrenno concludere che non è affatto vera, e ci sforzeremmo di trovarne un altra che se ne differenzi per una condizione che in un certo momento è soddisfatta e in un altro non lo è. Lo stesso vale per il luogo : se risultasse che nei dintorni di Sirio non vale la legge di gravitazione, si cercherebbe un'altra legge con una condizione che risultasse soddisfatta nel nostro sistema solare, ma non nei dintorni di Sirio. Se contro l'atemporalità dei pensieri si volesse addurre poniamo, che "Il numero degli abitanti dello Stato tedesco ammonta a 52.000.000" si può ben rispondere che quest'enunciato non è l'espressione completa di un pensiero, perchè manca la determinazione temporale. Se questa viene sopperita, ad es. dicendo "Il primo Gennaio 1897 a mezzogiorno secondo l'orario europeo" in tal caso o il pensiero è vero (e rimane vero per sempre) o meglio, è atemporalmente vero, oppure è falso e tale è definitivamente. Ciò vale per ogni fatto storico singolo: se esso è vero, è tale indipendentemente dal tempo in cui è giudicato.


Frege qui anticipa l'analisi degli indicali e ne intuisce la natura dialettica che rende indeterminati gli enunciati nei quali essi sono inseriti (i quali sono perciò funzioni proposizionali). Egli però non si rende conto che tale indeterminatezza concerne molti più enunciati di quanto non si pensi e spesso riguarda molti enunciati riguardanti leggi, i quali per quanto possano essere precisati accolgono in sè sempre una sia pur minima misura di vaghezza.
Inoltre Frege non si rende conto che gli enunciati indeterminati lo sono solo rispetto ad un predefinito livello di esistenza, mentre rispetto a livelli di esistenza più basici sono invece perfettamente determinati. Una variabile infatti è un oggetto nel senso più pieno del termine al suo proprio livello di esistenza.
Inoltre un enunciato indeterminato ha un senso proprio e dunque esprime un pensiero che però si può concretizzare in più pensieri ad un livello diverso di esistenza : si tratta di diversi livelli di astrazione dei pensieri e non si può dire che in sè l'enunciato con un indicale non esprima un pensiero, ma solo che può avere diversi valori di verità a seconda dell'oggetto che lo satura.
Tale saturazione si ha più facilmente quando l'enunciato indeterminato si situa in un contesto complesso già dato (come la realtà fisica), contesto che corrisponde ad una serie di enunciati che si congiunge (con il connettivo "et") all'enunciato indeterminato preso in considerazione
Inoltre "Io sento freddo" può equivalere a "Tim Robbins sente freddo" se Tim Robbins proferisce verbalmente o mentalmente questo pensiero, ma il senso dei due enunciati è comunque diverso, proprio perchè essi si riferiscono ad un diverso livello di esistenza.
Gli indicali, come intuì l'Idealismo tedesco, contengono in forma contratta i rinvii ad infinitum che Frege cerca di utilizzare contro le definizioni e le problematiche connesse ad es. con il termine "Vero". L'Io ad es. sfugge di continuo alla definizione, ma questa fuga è inevitabile, sia considerata nel tempo (storicismo) che nello spazio (relativismo culturale), per cui il relativismo che Frege ha cercato a tutti i costi di evitare, rientra dalla finestra degli indicali.
Frege alla fine non riesce nè a spiegare nè a trovare posto a questi ultimi. Dire come fa lui che a volte la lingua parlata richiede l'accompagnamento di gesti, espressioni etc. non vuol dir niente. "Io ho freddo" non ha bisogno di accompagnamento o meglio quello che Frege e i filosofi ordinari del linguaggio cercano nel contesto extralinguistico è già implicito nell'enunciato che ha in sè il suo rinvio ad infinitum, la sua relatività senza che questa possa essere considerata contraddittoria. L'Io è al tempo stesso variabile e caso concreto.
Dire poi che non è necessario che il pensiero che si ha freddo debba essere pronunciato da chi prova questa sensazione è il massimo dell'iperbole cui arriva il pensiero analitico : il pensiero "io ho freddo" va delegato ad altri ? O bisogna parlare di sè in terza persona come i servi o i robot ? Qui si vede come nel pensiero analitico il problema della soggettività e della prassi (ed anche della libertà, come accusa Imre Toth) è assente. Anche se bisogna ammettere che la possibilità di trascendere la soggettività da parte del linguaggio è un'altra conquista che va tutelata, dove all'infinità della prospettiva si succede l'infinità dello spazio comune, dell'oggettività, del sapere. Frege giustamente nota che questa capacità di parlare in terza persona consente al pensiero di differenziarsi da un puro e semplice stato di animo. Ma entrambe le facce della medaglia vanno valorizzate, mentre Frege si irrigidisce nella falsa oggettività della neutralità asettica della scienza, neutralità che vedremo esploderà con il fallito tentativo neopositivista. Se la via soggettiva ha in sè il rischio del solipsismo, la via dogmatica ha in sè il rischio dell'ideologia.
Inoltre il fatto che il senso delle proposizioni con indicali venga solo e sempre completato dalle circostanze in cui vengano impiegate, vale in realtà per tutti gli enunciati : cos'è un nome proprio infatti se non un indicale non dichiarato (e perciò ancora più fuorviante) ?
Il fatto che i fattori esterni possano aiutare a comprendere il senso di un enunciato non vanno psicologisticamente confusi con i fattori che semanticamente conferiscono senso all'enunciato in questione. Il fatto è che, in sè, alcuni termini hanno un'inesauribilità, un rinvio, un'indeterminatezza che consente ad ogni soggetto di utilizzarli. Ciò vale in generale per il linguaggio (che nel designare provoca uno sdoppiamento tra l'ente designato e il segno che lo designa ed occupa il suo posto), ma in particolare per alcuni termini (indicali, quantificatori, alcuni predicati soprattutto negativi) che proprio per questo fanno parte del lessico della filosofia e della metafisica (Io, Infinito, Tutto).
Frege poi impropriamente ricomprende nelle proposizioni che vanno integrate (al pari di quelle con indicali) anche le proposizioni estetiche, senza giustificare tale relazione se non con il ricorso ad una tesi pregiudiziale tutta da dimostrare e cioè quella della soggettività dei giudizi estetici.
Frege ancora non spiega perchè ed in che misura l'integrazione degli enunciati da parte del contesto debba variare e non chiarifica i gradi di indeterminazione dei diversi enunciati. Egli lascia sospettare che a svolgere tale integrazione saranno delle rappresentazioni, ma queste ultime se non sono pensiero come potranno assolvere tale compito ? Frege chiama rappresentazione ciò che fluttua e pensiero ciò che rimane costante, pensando forse che ci sia qualcosa in comune tra ciò che fluttua e qualcosa in comune tra tutto ciò che rimane costante. Non si affatica mica a inseguire ciò che fluttua ed al tempo stesso si ostina a mettere toppe ed a trovare pensieri nascosti in altri pensieri, quando a fluttuare sembrano essere i pensieri stessi
Inoltre il tentativo di determinare il senso di un enunciato attraverso precise coordinate spazio-temporali è un tentativo destinato al fallimento in quanto tali coordinate alla fine si riducono ad una prospettiva soggettiva che implica inevitabilmente un ritorno all'indeterminazione (ad es. degli indicali). Il tentativo di precisare le circostanze in cui un evento ha luogo costringe a determinare a loro volta in quanto eventi le stesse circostanze che dovrebbero fornire lo sfondo. Il fatto poi che le proposizioni al passato non siano verificabili empiricamente fa sì che la verità di un evento sia pure puntuale sia incerta. La tesi secondo cui comunque quell'evento è veramente accaduto o meno, va presupposta o dimostrata in altro modo. Se cambia il riconoscimento della verità di un enunciato e non la verità dell'enunciato stesso, ciò dipende da una stabilità della realtà che va metafisicamente dimostrata.

0 Comments:

Post a Comment

<< Home