Sunday, September 09, 2007

Frege e l'uguaglianza

Nel famoso articolo di Frege "Sul senso e la denotazione" ci si domanda inizialmente cosa sia l'uguaglianza, se sia una relazione tra oggetti o una relazione tra nomi. A favore di quest'ultima ipotesi c'è il fatto che A=A e A=B sembrano proposizioni aventi un valore conoscitivo diverso : A=A vale a priori e andrebbe definita analitica, mentre A=B contiene ampliamenti dela conoscenza e non sempre si può fondare a priori. La scoperta che sorge sempre lo stesso sole è stata una grande scoperta astronomica, così come riconoscere che in diverse osservazioni si ha a che fare con lo stesso pianeta non è cosa facile.
Se nell'uguaglianza volessimo vedere una relazione tra ciò che i nomi "A" e "B" denotano (gli oggetti che designano) scomparirebbe ogni diversità tra A=A e A=B, ammesso che l'oggetto 'A' sia proprio uguale all'oggetto 'B'. In questo caso l'uguaglianza esprimerebbe la relazione di una cosa con se stessa, ma che nessuna cosa avrebbe con un'altra.
Perciò sembra che con A=B si intenda che i segni (nomi) per oggetti denotano la stessa cosa (e dunque si tratterebbe di una relazione tra segni). Tali relazioni però sussisterebbero solo tra nomi che designano qualcosa e sarebbe resa possibile dalla connessione dei due segni con la medesima cosa designata. Ma se fosse così, il rapporto di uguaglianza sarebbe arbitrario, giacché non si può impedire a nessuno di assumere, come segno di qualcosa, un qualsiasi oggetto o evento preso arbitrariamente.
A=B riguarderebbe solo il nostro modo di designazione e dunque non esprimerebbe conoscenza. Se il segno 'A' si distinguesse dal segno 'B' solo perchè ha materialmente una forma diversa e non per il modo in cui designa qualcosa, il valore conoscitivo di A=A sarebbe lo stesso di A=B (sempre che sia ammessa la verità di A=B). La teoria che vede nell'eguaglianza un rapporto tra nomi si troverebbe di fronte alle stessa difficoltà in cui si trova la teoria dell'uguaglianza intesa come rapporto tra oggetti : l'impossibilità cioè di distinguere alla fine il valore conoscitivo delle due proposizioni A=A e A=B. Ci può essere una differenza solo se alla diversità del segno corrisponda ad una diversità del modo in cui è dato l'oggetto designato : ad es. 'x' può essere il punto di incontro di 'a' e 'b' e il punto di incontro di 'b' e 'c' al tempo stesso; tali nomi, nel mentre ci designano lo stesso oggetto, indicano anche il modo particolare con cui quest'oggetto viene dato.

Nell’analizzare la posizione di Frege partiamo dalla sua concezione dell’identità.
In primo luogo non è del tutto vero che, considerando l'identità come rapporto tra cose non ci sarebbe differenza tra A=A e A=B, dal momento che quest'ultima potrebbe benissimo essere l'identità leibniziana degli indiscernibili e cioè di due oggetti distinguibili solo per il loro ordine nello spazio e nel tempo (per cui di esse si predica il numero "due").
In secondo luogo non è del tutto vero che se A=B riguardasse solo i segni non potrebbe esprimere alcuna conoscenza. Si potrebbe infatti dire che "ciò che sinora abbiamo considerato segni per oggetti diversi si riferiscono invece alla stessa entità" : è ad es. il caso dei mistici che dicono che "Allah" e "Dio" siano lo stesso Padre del genere umano.
Frege a tal proposito associa troppo strettamente segno e convenzionalità. Ma la cultura non è la dimensione dell'arbitrio ed una volta prodotta finisce per condizionare e vincolare anche chi la produce. Verso la cultura non siamo del tutto liberi : liberarci dei pregiudizi è a volte conoscenza nel senso forte del termine.
Originariamente se il segno aveva forma diversa in qualche modo diceva una cosa diversa dell'oggetto designato (è il caso dei pittogrammi che evidenziano proprietà ed aspetti simbolici diversi degli oggetti a seconda delle civiltà che li rappresentano).
Altro poi è l'arbitrio presunto nella scelta di un segno, altro è l'arbitrio del rapporto tra segni : il primo arbitrio non presuppone affatto il secondo.

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