Tuesday, January 31, 2006

La critica di Twardowski ad Erdmann

Twardowski critica la tesi di Benno Erdmann secondo il quale le rappresentazioni sono implicitamente dei giudizi. Erdmann sostiene che alcuni giudizi vengono riassunti in una sola parola (lo Stato, le leggi di natura, la religione) il cui significato è dato attraverso giudizi (sarebbe quello che noi chiamiamo definizione).
Twardowski critica l'argomento di Erdmann dicendo che anche se ci si rappresenta un soggetto, dei predicati ed un giudizio che li collega, questa non è l'enunciazione di un giudizio.
Egli argomenta ancora dicendo che se ogni rappresentazione implica un'asserzione sull'oggetto della rappresentazione stessa, allora la conseguenza sarebbe che ci siano solo rappresentazioni semplici nel vero senso della parola.
Egli è d'accordo sulla traducibilità reciproca di un termine e di una proposizione e fa due esempi: da un lato le proposizioni senza soggetto (tipo "Piove" oppure "Fuoco!") e dall'altro lato le definizioni. Twardowski ritiene giustamente ritiene che l'esempio richiamato da Erdmann sia il secondo e cioè la definizione, ma obietta che le proposizioni comunicano non solo i giudizi reali, ma anche i giudizi rappresentati e dunque nelle definizioni si possono anche nascondere giudizi meramente rappresentativi,
Twardowski dice inoltre che quando si fa una definizione dello Stato non si fa un giudizio sul soggetto Stato, ma si designa con la parola "Stato" un oggetto la cui rappresentazione è descritta dalla definizione stessa.
Per Twardowski oggetto del giudizio ed oggetto della rappresentazione sono lo stesso, mentre ad es. nel giudizio negativo non viene negata la connessione tra oggetto ed esistenza, ma viene negato lo stesso oggetto.
Egli infine asserisce anche che
come nel riferirci ad un oggetto noi individuiamo un contenuto (e lo esprimiamo) così noi nel giudicare su di un oggetto, affermiamo o neghiamo la sua esistenza: cioè, nel rappresentare noi delineiamo l'essenza di un oggetto, mentre nel giudicare ne valutiamo l'esistenza.
Commento
  1. Probabilmente Erdmann si riferisce ai concetti, o meglio ai termini che definiscono funzioni in cui la definizione esplicita di questi termini inizierebbe con "Ciò che..."
  2. Twardowski introducendo il concetto di "enunciazione del giudizio" rischia di incorrere in un regresso ad infinitum, in un paradosso evidenziato dallo psichiatra Ronald Laing con la locuzione "Really really ?" . In realtà egli si riferisce (come fa Frege col concetto di asserzione) alla dimensione fenomenologica della proposizione e cioè alla proposizione quando si affaccia alla mente come contenuto di una credenza. Ma questa dimensione ha una rilevanza logica? Twardowski non a caso riprende la differenza kantiana tra talleri effettivi e talleri pensati, ma questa è una differenza più pratica che teoretica
  3. Se è ontologicamente vero che ci sarebbero solo rappresentazioni semplici, questo non sarebbe vero nel senso di Berkeley ("il reale è solo rappresentazione") ma nel senso "tutto ciò che viene pensato in un certo senso è" (potremmo dire un'accezione parmenidea). Nel senso cioè che qualsiasi pensiero è un accesso ad un oggetto con uno statuto ontologico minimo
  4. Erdmann dimostra che la traducibilità tra rappresentazioni e giudizi dal punto di vista logico, mentre Twardowski sottolinea la distinzione tra proposizioni (intese come contenuto semantico) e asserzioni in senso fregeano (a livello di pragmatica del linguaggio), tra pensare e credere.
  5. La rappresentazione di un oggetto è descritta dalla definizione, se la definizione fosse esaustiva dell'oggetto stesso. Ma da sempre il termine definito ha già da prima una pregnanza semantica, per cui una definizione è pur sempre una descrizione e quindi un giudizio del tipo "Il fratello di carlo è il padre di Marco". In ogni nome è già nascosta una storia ed un senso sia pure minimo.
  6. Twardowski erroneamente considera rappresentazione e giudizio due meri fenomeni psichici, mentre essi hanno un correlato fortemente logico
  7. Ad ogni giudizio corrisponde l'affermazione o la negazione di un'oggetto? E se si può rappresentare un oggetto che si nega, l'oggetto nella dimensione della rappresentazione è aldilà dell'esistenza e della non-esistenza? Se il giudizio può negare l'oggetto stesso, come è possibile che l'oggetto venga rappresentato? In realtà il giudizio negativo è per definizione la negazione di una connessione tra oggetto e predicato. Lo stesso Frege infatti riconosce nei suoi ultimi scritti la differenza a livello fondativo tra affermazione e negazione: mentre l'affermazione è sempre implicita in una rappresentazione, la negazione è sempre un qualcosa di aggiunto, di esplicito. Inoltre Twardowski dà valore esistenziale a qualsiasi giudizio, ma allora anche un giudizio predicativo risulta essere esistenziale?

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Concetto e oggetto in Kazimierz Twardowski

Twardowski, Kazimierz, Contenuto e oggetto, Torino, Bollati Boringhieri, 1988

Twardowski è uno dei fondatori della Scuola di Leopoli-Varsavia, scuola che ha sviluppato molto la tradizione filosofica analitica.
Egli , nello scritto Sulla dottrina del contenuto e dell'oggetto delle rappresentazioni si riferisce all'immanenza dell'oggetto all'atto intenzionale, per cui ad ogni atto intenzionale corrisponde un oggetto immanente a cui l'atto si relaziona. Per Twardowski ogni rappresentazione si distingue in atto della rappresentazione e contenuto della rappresentazione.
E il contenuto della rappresentazione si distingue a sua volta dall'oggetto (cosa che aveva già fatto Meinong prima di lui), ma l'ambiguità del linguaggio è tale che sia il contenuto che l'oggetto sono rappresentati, mentre per "rappresentazione" si indica sia l'atto che il contenuto.
Twardowski dice che altro è il rappresentarsi qualcosa e altro è l'affermare o negare qualcosa; a tal proposito egli dice che non c'è alcuna forma di transizione tra rappresentazione e giudizio.


Cosa dire a questa introduzione?
Bisogna premettere che per ogni atto intenzionale c'è sempre uno statuto ontologico minimo per il suo oggetto: Questo è il principio a priori che confuta almeno in senso metafisico (ma non in senso pragmatico) ogni teoria dell'illusione, ogni maestro del sospetto
In secondo luogo va detto che l'atto della rappresentazione è l'evento psichico (il giudizio), mentre il contenuto è il noema, cioè la struttura ideale ed oggettiva.
La distinzione che Twardowski fa tra oggetto immanente ed oggetto trascendente (sulla scia di precedenti riflessioni di altri pensatori quali Hofler) è di ascendenza kantiana.
L'ambiguità che invece egli attribuisce al linguaggio è un'ambiguità costitutiva al carattere autoreferenziale e paradossale dell'Essere ed all'inattingibilità dell' In-sè (da cui deriva la distinzione linguaggio-metalinguaggio)
Inoltre la distinzione tra rappresentazione e giudizio ci consente di dire che
il rappresentare qualcosa è il pensare puro a cui corrisponde l'oggetto logico (ideale), mentre l'affermare o negare qualcosa è come l'asserzione di Frege, ed è già uno sfociare nel metalinguaggio, nella prassi del pensiero.
Va inoltre distinto la rappresentazione in senso stretto (codice sensoriale) e il pensare (codice logico-linguistico).
Twardowski poi (come Meinong e forse Frege) non vede la possibilità della dialettica, negando la transitabilità dal pensare al giudicare. Ma se configuriamo tale transizione come passaggio dal linguaggio al metalinguaggio essa non appare invece come naturale?
Infine anche Frege in certi punti accenna in certi punti al fatto che l'affermazione sia più comprensiva della negazione. Dunque si può ipotizzare che il puro pensare o rappresentare siano una forma implicita di affermazione?

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Monday, January 30, 2006

Salve a tutti