Sunday, November 18, 2007

Frege e i termini di concetto

Frege dice che un nome proprio deve sempre avere un senso, altrimenti sarebbe una mera sequenza di suoni e sarebbe errato chiamarlo nome. Per l'uso scientifico si deve esigere che un nome proprio abbia anche una denotazione, che designi o denomini un oggetto. Così il nome proprio si riferisce attraverso la mediazione del senso e solo attraverso questa all'oggetto.
Anche un termine di concetto deve avere un senso e per l'uso scientifico anche una denotazione. Ma tale denotazione non è nè un oggetto singolo, nè molti oggetti, bensì un concetto. Si può naturalmente domandare di un concetto se un oggetto (o molti o nessuno) cade sotto di esso. Ma ciò riguarda direttamente solo il concetto. Un termine di concetto può dunque essere logicamente ineccepibile anche se non c'è alcun oggetto cui esso si riferisce tramite il suo senso e la sua denotazione (cioè il concetto medesimo).
Questo riferimento all'oggetto è assai mediato ed inessenziale, sicchè appare poco adeguato classificare i termini di concetto a seconda che uno/molti/nessun oggetto cadono sotto il concetto corrispondente. In logica si deve esigere che sia per i nomi propri sia per i termini di concetto il passaggio dall'espressione linguistica al senso e dal senso alla denotazione, sia determinato in modo univoco. Alrimenti non si potrebbe più parlare di una denotazione. Quanto è stato detto vale naturalmente per tutti quei segni e combinazioni di segni che svolgono lo stesso ufficio dei nomi propri e dei termini di concetto.

Una sola osservazione va fatta su questa tesi di Frege :
se la denotazione di un termine di concetto è un concetto qual è il sinn di un termine di concetto ?

Frege e il senso dei concetti

Frege dice che in certe dimostrazioni non è affatto indifferente che una certa combinazione di segni (tipo radical-1) abbia una denotazione o non l'abbia e che anzi, l'intero nerbo della dimostrazione dipende anche da questo. Ovunque nella scienza la denotazione è l'essenziale. Quindi anche quando va concesso ai logici del contenuto che il concetto è prioritario rispetto all'estensione, il concetto non va inteso come il senso del predicato, ma come la sua denotazione. I logici dell'estensione si avvicinano di più al vero, in quanto ciò che rappresentano come importante nell'estensione è un tipo di denotazione che non è il concetto stesso, ma qualcosa di strettamente legato ad esso.
Frege dice che Husserl critica la mancanza di chiarezza di Schroder a proposito dei termini unsinnig (insensato) einsinnig (univoco) mehrsinnig (polivoco) undeutig (senza denotazione) eindeutig (monodenotante) mehrdeutig (polidenotante).
Schroder usa i termini sinnig e deutig in modo diverso da Frege. Tale distinzione è connessa con la distinzione tra nomi propri e nomi comuni e sconta un'errata concezione della differenza tra oggetto e concetto : per Schroder i nomi comuni possono avere più denotazione senza tema di errore : essi sono tali quando più oggetti cadono sotto il concetto corrispondente. Pertanto un nome comune potrebbe essere anche senza denotazione (come ad es. 'quadrato rotondo')senza che ciò costituisca un errore. Schroder invece chiama un tale concetto "insensato", ma si discosta dalla sua terminologia secondo la quale si sarebbe dovuto chiamare einsinnig ed Husserl è nel giusto quando chiama i nomi comuni "univoci" (einsinnig). Husserl dice che Schroder confonde la questione se ad un nome corrisponda un senso o se esista un oggetto corrispondente al nome. Tale distinzione dice però Frege non è sufficiente : la parola "comune" ci induce a supporre che il nome comune si riferisca a più oggetti ma alla maniera del nome proprio che invece denomina un unico oggetto. Ma questo è falso e perciò è preferibile "termine di concetto" a "nome comune".

Si è già detto che il concetto possa essere la denotazione di termini di concetto mal si concilia con il carattere insaturo dei termini di concetto e dunque sul carattere non assimilabile agli oggetti proprio del concetto. Perchè si possa parlare di concetto come denotazione dunque si deve allentare la rigida distinzione tra oggetto e concetto. Si aggiunga a ciò che il nome comune non è sostituibile dal termine di concetto, dal momento che il primo ha un correlato estensionale, mentre il secondo un correlato intensionale.

Frege e l'estensione dei concetti

Frege dice che analizando la differenza tra concetti ed oggetti siamo in grado di asserire (senza essere indotti in errore dall'uso improprio della locuzione "lo stesso") che ciò che due termini di concetto significano è lo stesso se e solo se le rispettive estensioni coincidono. Questa per Frege è una notevole concessione ai logici dell'estensione. Questi hanno ragione se la loro predilezione per l'estensione del concetto invece che per il senso sta a significare che ritengono la denotazione delle parole e non il senso la cosa essenziale nella logica. I logici del contenuto sono troppo propensi a non andare oltre il senso che essi fanno coincidere con il contenuto. Essi dimenticano che la logica non si occupa di come certi pensieri derivino da altri pensieri senza riguardo per il loro valore di verità, che si deve compiere il passo dal pensiero al valore di verità (più in generale dal senso alla denotazione), che le leggi logiche sono principalmente leggi nell'ambito della denotazione e solo mediatamente si riferiscono al senso. Se ci interessa la verità (a cui deve tendere la logica), dobbiamo indagare la denotazione, respingere quei nomi che non designano alcun oggetto (pur essendo dotati di senso) e respingere quei termini di concetto che non hanno nessuna denotazione. Tali non sono ad es. quei termini che comprendono note caratteristiche contraddittorie, perchè un concetto può ben essere vuoto, bensì quei termini che hanno una delimitazione incerta.
Deve essere determinato di ogni oggetto se esso cade o no cade sotto quel concetto : un termine di concetto che non soddisfa questo requisito è privo di significato. Fra questi va annoverato il termine omerico "molu" (un erba magica dai fiori bianchi e dalla radice scura che Odisseo ottiene da Ermes per proteggersi da Circe) anche se vengono specificate certe note caratteristiche. Questo non vuol dire che il brano in cui vi sia quell'espressione sia a sua volta privo di senso, così come non sono privi di senso quei passi in cui compare il nome "Nausicaa" che presumibilmente non denota nè denomina alcunchè; questo nome tuttavia si comporta come se denominasse una ragazza e si assicura così un senso. Ed alla poesia basta il senso, basta il pensiero senza denotazione, senza valore di verità : non così alla scienza.


Frege poi non tiene conto del fatto che forse è improprio parlare di identità tra due concetti quando le classi di oggetti che cadono sotto i concetti tra loro comparati sono identiche. E tuttavia dire questo non implica che due concetti non siano a loro volta oggetti. L'errore è considerare oggetti solo una certa classe di oggetti (un certo tipo).
Quanto alla sua critica a quelli che chiama "Logici del contenuto", Frege restringe l'ambito della logica a quello delle proposizioni molecolari derivanti da enunciati atomici con un valore di verità definito e di tipo binario, ma tale restrizione presuppone a sua volta assunzioni ontologiche che andrebbero discusse.
Qui Frege quando raccomanda di respingere termini senza denotazione e concetti vaghi anticipa il Neopositivismo (con maggiore consapevolezza dei Neopositivisti) ma la definizione previa dei termini in un contesto che vorrebbe essere scientifico può avere un valore metodologico (fare il punto delle conoscenze certe che una comunità può condividere), ma con la verità non ha nessun rapporto. E contrapporre a tal proposito scienza e poesia diventa un' operazione fuorviante, che rozzamente i Neopositivisti faranno propria.
Dire inoltre che le leggi logiche riguardano la denotazione e non il senso non è ridurre la logica a logica proposizionale ? La logica non studia anche le funzioni svolte dalle diverse parti di un enunciato atomico ? Nè si può dire che non ha senso un concetto che abbia un senso incompleto, giacchè le dinamiche della stessa scienza si verificano con l'uso di concetti che di fatto hanno un senso incompleto e la scienza è proprio il processo che partendo da sensi incompleti cerca di implementarli.

Frege e l'uguaglianza tra concetti

Frege continua dicendo che seppure la relazione di uguaglianza può essere pensata tra oggetti e non tra concetti, c'è tuttavia una relazione corrispondente. La parola "Lo stesso" che si impiega per designare la relazione tra oggetti non può a rigore servire per designare la relazione tra concetti. E tuttavia non resta altrao da fare che dire "Il concetto 'Psi' è lo stesso che il concetto 'X'", nominando in effetti una relazione tra oggetti (il concetto 'Psi' e il concetto 'X'), mentre si intende una relazione tra concetti.
Abbiamo la stessa situazione quando diciamo "Il significato del termine di concetto A è lo stesso del significato del termine di concetto B"
A rigore, in tal caso l'espressione "Il significato del termine di concetto A" è da respingere dal momento che l'articolo determinativo davanti a "significato" allude ad un oggetto ed è in contraddizione con la natura predicativa del concetto. Sarebbe già meglio dire "Ciò che il termine di concetto A significa". Infatti questa espressione va comunque usata predicativamente (es. "Gesù è ciò che il termine di concetto 'uomo' significa" nel senso di "Gesù è un uomo").

Frege si affanna a trovare formule verbali che gli consentano di argomentare a favore delle sue tesi, non rendendosi conto che l'equivalenza tra formule che lui reputa false e formule che lui reputa vere (equivalenza che permette la traduzione delle prime nelle seconde) mette in questione proprio le sue tesi. Ad es. "ciò che..." che sostituisce "Il" oggettivizza il concetto non meno di "Il" ("ciò" è qualcosa che può essere indicato col dito, qualcosa che può essere denotato da un nome e "ciò che..." è un concetto che viene oggettivato, che viene considerato in quanto oggetto). Senza contare il fatto che "un uomo" non è un concetto, ma un oggetto che cade sotto un concetto, mentre la locuzione "Gesù è ciò che il termine di concetto 'uomo' significa" non equivale affatto a "Gesù è un uomo". Come si vede da questi esempi la ricerca di queste parafrasi è inutile se non patentemente pericolosa per la chiarezza del pensiero.

Frege e la scrittura ideografica di generalità ed eguaglianza

Frege aggiunge che non si possono sostituire le lettere di funzione con altre che non sono impiegate come lettere di funzione : deve sempre esserci un posto-argomento per accogliere la "alpha". Si potrebbe pensare semplicemente "Psi" = X. Tale scrittura può andare bene fintanto che i concetti sono solo indicati, ma una notazione davvero idonea deve adattarsi a tutti i casi.
Si prenda ad es. la funzione (X-al quadrato = 1) che ha per ogni argomento lo stesso valore di verità della funzione [(x+1)-al quadrato = 2(x+1)]. Vale a dire, sotto il concetto 'ciò che è più piccolo di un'unità del numero il cui quadrato è uguale al suo doppio' cade ogni oggetto che cade sotto il concetto 'radice quadrata di 1' e viceversa.
Si potrebbe esprimere questo pensiero come segue
(alfa-al-quadrato = 1) è intercambiabile con ((alfa + 1)-al-quadrato = 2(alfa + 1))

Qui, dice Frege, abbiamo in verità una relazione di secondo livello che corrisponde al'identità (completa coincidenza) nel caso degli oggetti.
Se scriviamo (per tutti gli alfa)(alfa-al-quadrato = 1) = ((alfa + 1)-al-quadrato = 2(alfa + 1)), abbiamo espresso sostanzialmente lo stesso pensiero, concepito come la generalità di un'equazione tra valori di funzioni. Abbiamo la stessa relazione di secondo livello, abbiamo il segno di eguaglianza, ma ciò di per sè non basta a designare questa relazione, ma solo in un unione con la designazione della generalità. Abbiamo essenzialmente una generalità, non un eguaglianza. Invece in
[epsilon(epsilon-al-quadrato = 1)] = [alfa((alfa + 1)-al-quadrato = 2(alfa + 1))]
abbiamo sì un'uguaglianza, ma non fra concetti (il che è impossibile), ma fra oggetti ossia fra estensioni di concetti.


Perchè mai ci deve essere un posto per la variabile nell'equivalenza tra concetti ? Se l'equivalenza tra concetti vale per tutti i valori della variabile che bisogno c'è di inserire per ogni termine di concetto il posto vuoto per la variabile ? Come al solito Frege presuppone ciò che vuole dimostrare. La generalità inoltre è già introdotta dall'uso della variabile (come avviene in matematica) e magari può essere negata da un altro simbolo (tipo un quantificatore particolare), per cui la locuzione "Per tutti gli x..." può risultare pleonastica. Nel caso dei concetti l'equivalenza tra i concetti già di per sè ha la caratteristica della generalità, altrimenti per indicare una coincidenza parziale si userebbero le classi (le estensioni dei concetti). Inoltre nel caso di "(per tutti gli alfa)[(alfa-al-quadrato = 1) = ((alfa + 1)-al-quadrato = 2(alfa + 1))] ", a parte la pleonasticità di "per tutti gli alfa", c'è da precisare che si tratta di equivalenza tra relazioni di identità e dunque di coimplicazione tra funzioni proposizionali che sono diverse dalle identità tra oggetti, ma sono diverse anche dalle identità tra concetti (che forse sono solo parte delle funzioni, ma non sarebbero le funzioni stesse). O meglio, i concetti sono a metà tra gli oggetti e le funzioni (e perciò le proposizioni) e dunque sono traducibili in termini di oggetti ed in termini proposizionali. Dire infine che le estensioni di concetti (le classi) siano oggetti e non concetti non è arbitrario ? Non presuppone già il carattere rigido della distinzione tra concetti e oggetti ?

Frege e l'ideografia dei concetti

Frege dice che l'insaturazione del concetto di primo livello è rappresentata nell'Ideografia dal fatto che l'espressione che lo designa reca sempre almeno un posto vuoto per accogliere il nome dell'oggetto, che è detto cadere sotto il concetto. Questo posto o questi posti deveono essere riempiti in qualche modo. Ciò può avvenire, oltre che mediante un nome proprio, anche mediante un segno che si limiti ad indicare un oggetto. Si vede bene quindi che, a fianco del segno di uguaglianza o simili, non può mai stare solo un'espressione che designa un concetto e che oltre al concetto deve essere designato o indicato anche un oggetto. Anche quando indichiamo schematicamente i concetti mediante lettere di funzione, ciò deve avvenire sempre in modo che l'insaturazione sia sempre bene in vista grazie al posto vuoto che queste lettere recano con sè, come ad es. in "Psi"( ) e X( ).
In altre parole, dice Frege, è lecito usare le lettere ("Psi", X)indicanti o designanti concetti sempre e solo come lettere di funzione, così che portino sempre con sè un posto per l'argomento (all'interno delle parentesi). Non si deve dunque scrivere "Psi" = X, poichè le lettere "Psi" e "X" non figurano qui come lettere di funzione. Non si deve neppure scrivere "Psi"( ) = X( ), in quanto i posti-argomento devono essere riempiti. Una volta però che siano stati riempiti non solo vengono uguagliate le funzioni (concetti), bensì a fianco del segno di uguaglianza, oltre alle lettere di funzione, sta anche qualcos'altro che non fa parte della funzione.

Non si capisce se Frege, assodato il carattere insaturo dei concetti, adegui il suo simbolismo alla validità acclarata di questo argomento, oppure usi il simbolismo per argomentare ulteriormente a favore della sua tesi. In quest'ultimo caso ci troveremmo dinanzi ad un chiaro caso di circolo vizioso, in quanto si può dire che i simboli per i concetti vanno accompagnati da spazi vuoti per la saturazione solo se già si presuppone il carattere insaturo dei concetti.
Inoltre Frege nega che sia possibile la formula logica " Psi( ) = X( )", dal momento che i posti vuoti vanno riempiti in qualche modo. Ma nessun simbolismo di un posto vuoto ci può indurre a riempirlo in qualche modo. Se fosse vero quel che dice Frege dovrebbe essere materialmente impossibile scrivere una stringa come " Psi( ) = X( )", dovrebbe essere materialmente impossibile tracciare una lettera con un posto vuoto accanto. Non è possibile rappresentare graficamente il carattere insaturo dei predicati senza trasformarlo in un segno come tutti quanti gli altri, così come non si può rappresentare la mancanza di un numero come lo zero senza trasformarla in un numero al pari degli altri e così come non si può parlare di un predicato senza trasformarlo in un oggetto.

Frege e la differenza tra oggetti e concetti

Frege dice che le parole "Tutti" "Alcuni" che grammaticalmente vanno insieme al soggetto fanno parte, in base al senso, del predicato grammaticale, come si vede quando si passa alla negazione (non tutti, nonnulli). Questo da solo basterebbe già a mostrare che in questi casi il predicato è diverso da ciò che affermiamo di un oggetto. La relazione di uguaglianza, che intendo come completa coincidenza, è pensabile solo per gli oggetti e non per i concetti. Quando si dice "Il significato del termine di concetto 'sezione conica' è il medesimo del termine di concetto 'curva di secondo grado'" le parole "significato del termine di concetto 'sezione conica'" formano il nome di un oggetto e non di un concetto; manca infatti la natura predicativa, l'insaturazione, la possibilità di usare l'articolo indeterminativo. Lo stesso vale per l'espressione "Il concetto 'sezione conica'". Tuttavia anche se la relazione d'uguaglianza è concepibile solo per gli oggetti, per i concetti si presenta una relazione analoga, che essendo una relazione fra concetti si può denominare "relazione di secondo livello", mentre l'uguaglianza è una relazione di primo livello.
Frege dunque dice che un oggetto A è uguale ad un oggetto B (nel senso della completa coincidenza) se A cade sotto tutti i concetti sotto cui cade B e viceversa. Si ha qualcosa di analogo per i concetti, se si scambiano le parti di oggetto e concetto. Si può dire in tal caso che la relazione sopra formulata intercorre tra il concetto "Psi" e il concetto "X" se ogni oggetto che cade sotto "Psi" cade soto "X" e viceversa. In questo caso naturalmente non è possibile evitare le espressioni "Il concetto 'Psi'", "Il concetto 'X'" con il risultato che il nesso genuino viene nuovamente oscurato.

Il fatto che il concetto possa essere oggettivato è la dimostrazione che tra concetto e oggetto non vi è una differenza irriducibile e non la dimostrazione che le relazioni tra concetti non sono comparabili alle relazioni tra oggetti.
Dunque "Il significato del termine di concetto 'sezione conica'" equivale alla sezione conica (al concetto 'sezione conica') e "il concetto 'sezione conica'" è un oggetto nel senso che è il concetto oggettivato e non qualcosa di assolutamente altro dal concetto. Se non si ammette questo si va incontro al paradosso per cui il concetto "sezione conica" non è un concetto (paradosso paragonabile a quello per cui "il Professor Hilbert non è un professore"), paradosso che viene confusamente spiegato con il ricorso all'imperfezione presunta del linguaggio naturale.
Senza contare che nel concetto di Frege si uniscono il carattere insaturo del predicato e quello oggettuale della classe (la famosa estensione del concetto) e dunque non si può dire che il concetto sia qualcosa di assolutamente altro da un oggeto nè che sia qualcosa di univocamente insaturo. Sarebbe forse meglio considerare il concetto un momento di passaggio dall'oggetto al predicato, qualcosa di ibrido cioè.
In realtà Frege qui impatta nell'aporia kantiana dell'apriori e delle categorie, in bilico tra livello locutorio e perlocutorio, ma lo fa senza una sufficiente consapevolezza storico-critica e dunque prende una posizione rigida che si rivela alla fine ingenua e problematica. Mentre invece il fatto che certe espressioni sono difficilmente evitabili nel linguaggio naturale dovrebbe far maggiormante riflettere sulla giustezza dei propri assunti filosofici.

Frege e la natura ambigua dei concetti

La natura del concetto per Frege costituisce un grosso ostacolo quando ci si vuole esprimere correttamente. Infatti per parlare di un concetto la lingua costringe i parlanti a servirsi di espressioni inadatte che oscurano il pensiero e lo falsano. Quando si pronunciano le parole "il concetto triangolo equilatero" sulla scorta dell'analogia linguistica si dovrebbe supporre che si stia designando un concetto, così quando dico "Il pianeta Nettuno" sto indubbiamente nominando un pianeta. In realtà manca la natura predicativa : di conseguenza la denotazione dell'espressione "Il concetto triangolo equilatero" (ammesso che ve ne sia uno) è un oggetto. Dunque pur non potendo fare a meno di espressioni come "Il concetto", si deve sempre essere consapevoli della loro inappropriatezza. Oggetto e concetti sono fondamentalmente diversi e non possono fare le veci gli uni degli altri. Ciò vale anche per le espressioni e segni corrispondenti. I nomi propri non possono essere propriamente usati come predicati. Quando c'è tale parvenza, un'attento esame scoprirà che essi costituiscono (dato il loro senso) solo una parte del predicato : i concetti non possono stare tra loro nelle stesse relazioni degli oggetti. Pensarli in questa relazione sarebbe non falso ma impossibile. Pertanto le parole "Relazione di soggetto e predicato" designano due relazioni del tutto diverse a seconda che il soggetto sia un oggetto o un concetto. La cosa migliore sarebbe bandire del tutto dalla logica i termini "soggetto" e "predicato", perchè ci inducono continuamente a confondere relazioni diverse, quali il cadere di un oggetto sotto un concetto e la subordinazione di un concetto ad un altro concetto.


Frege in realtà rimane vittima delle sue stesse rigide distinzioni (utili alla sua istanza antimetafisica) che ovviamente non si sa spiegare. In realtà tra concetto ed oggetto non c'è una separazione netta e ciò spiega molto più semplicemente locuzioni perfettamente legittime come "Il concetto", senza dover scomodare presunte trappole del linguaggio naturale (o del rapporto problematico tra questo e il pensiero). Inoltre Frege non spiega perchè la distinzione tra concetto e oggetto dovrebbe essere preferibile a quella soggetto/predicato. Più che la distinzione rigida tra concetto e oggetto, penso che sia molto più elastica ed efficace la distinzione tra linguaggio e metalinguaggio, distinzione che permette di trattare un concetto come un oggetto. Oppure si può ipotizzare che oggetto e concetto siano come soggetto e predicato funzioni logiche che possono essere saturate dagli stessi noemi (anche quelli di concetto e oggetto). O ancora si può dire che sia gli oggetti che i concetti siano descrivibili attraverso il sinn e nominabili attraverso la denotazione. Insomma è augurabile una teoria che non presupponga distinzioni troppo nette che implichino poi difficoltà inutili.

Frege e la distinzione senso/denotazione applicata ai concetti

Frege dopo il saggio su senso e denotazione, passa ad applicare tale distinzione al campo dei concetti ed avverte che in questo caso possono nascere malintesi dal momento che la distinzione tra senso e denotazione si può confondere con quella tra oggetto e concetto. In realtà ad ogni termine di concetto corrisponde un senso ed una denotazione. Il denotatum di un nome proprio è l'oggetto che questo designa. Un termine di concetto ha come denotazione un concetto. A tal proposito i logici dell'estensione rivendicano verso i logici del contenuto la possibilità che i termini di concetto cui corrisponde la stessa estensione possono sostituirsi a vicenda in tutti gli enunciati, senza cambiarne il valore di verità. Dunque per quel che concerne la deduzione e le leggi logiche, i concetti vanno considerati diversi solo se le loro estensioni sono diverse. La relazione logica fondamentale è il cadere di un oggetto sotto un concetto e ad essa possono essere ricondotte tutte le relazioni tra concetti. Se un oggetto cade sotto un concetto, cade anche sotto tutti i concetto che hano la medesima estensione di quello, dal che segue quanto detto sopra. Così come i nomi propri possono prendere il posto l'uno dell'altro senza pregiudizio per la verità, lo stesso vale per i termini di concetto, se l'estensione è la medesima. Naturalmente con queste sostituzioni cambierà il senso, ma non la denotazione.
Si potrebbe dire magari che l'estensione sia la denotazione di tutti i termini di concetto, ma si perderebbe di vista il fatto che le estensioni dei concetti sono oggetti e non concetti. E tuttavia c'è una parte di verità in questa tesi : infatti il concetto è una funzione di un argomento, il cui valore è sempre un valore di verità. Mutuo il termine funzione dall'analisi e lo adopero in un significato più ampio preservandone la caratteristica essenziale, estensione questa cui la storia stessa dell'analisi ci conduce. Un nome di funzione reca sempre con sè almeno un posto vuoto per l'argomento; in analisi l'argomento viene per lo più indicato con la lettera "x". La lettera "x" non fa parte del nome della funzione, e quindi è sempre possibile parlare di un posto vuoto, poichè ciò che lo riempie non fa parte a rigore della funzione. Di conseguenza io chiamo la funzione stessa insatura o bisognosa di completamento, dal momento che il suo nome deve essere completato da un simbolo per l'argomento, al fine di ricevere una denotazione in sè conchiusa. Tale denotazione lo si chiama "oggetto" e nel nostro caso "valore" della funzione per l'argomento che opera il completamento o la saturazione. Nei casi che per primi si presentano l'argomento è un oggetto. Con il concetto abbiamo dunque il caso particolare in cui il valore è sempre un valore di verità. In altre parole, se completiamo un nome di concetto con un nome proprio otteniamo un enunciato il cui senso è un pensiero ed a cui corrisponde come denotatum un valore di verità. Nel riconoscere questo valore come il Vero, si giudica che l'oggetto preso come argomento cade sotto il concetto. Quel che nella funzione si chiama "insaturazione", nel concetto può essere chiamato "natura predicativa". Essa è palese anche là dove si parla di un concetto in posizione di soggetto (es. "Tutti i triangoli equilateri sono equiangoli").

La prima cosa da dire è che il fatto che Frege tracci una distinzione tra la coppia concetto/oggetto e quella senso/denotazione apre la possibilità di non vincolare la denotazione al piano degli oggetti e dunque la possibilità anche da un punto di vista fregeano di accedere ad una concezione dei diversi livelli di esistenza.
La concezione per la quale due concetti sono equivalenti se hanno la stessa estensione deve essere precisata in quanto trascura il fatto che la sovrapposizione tra due estensioni può ben essere contingente e dunque non riguardare il sinn.
Frege poi non coglie l'opportunità della distinzione da lui stesso operata e dunque nega che le estensioni dei concetti possano essere la denotazione dei concetti stessi.
Inoltre se un termine di concetto ha come denotazione un concetto, qual è il suo sinn ? Non è che ogni termine ha un sinn (o meglio un riferimento a livello ideale) e una denotazione (un riferimento a livello materiale), dove i livelli ontologici sono diversi, ma la funzione del segno è la stessa ?
E ancora i termini di concetto sono tali da denotare qualcosa o non hanno l'autonomia necessaria per farlo come invece possono fare i nomi propri ? Il fatto che i termini di concetto possano denotare non è problematico per l'impianto della filosofia del linguaggio di Frege ?
Dire poi che la x non fa parte del nome della funzione neanche è del tutto appropriato dal momento che la x fa sicuramente parte del nome dello schema funzionale e dunque non si tratta di posto vuoto, ma pur sempre di un segno sostituibile ed ogni segno può essere in realtà un posto vuoto : quello di usare un segno determinato per il posto vuoto è alla fine una convenzione. In una logica che potremmo definire orientale (dove il vuoto non è mera assenza), la variabile ed il posto vuoto sono alla fine equivalenti.

Tuesday, November 13, 2007

Frege e la contraddizione dell’Essere

Riassumendo Frege dice :
1. Se si intende conferire alla parola “essere” un significato tale per cui l’enunciato “A è” non sia ovvio e ridondante, si è costretti ad ammettere che la negazione dell’enunciato “A è” è in certe circostanze possibile, vale a dire che ci sono oggetti ai quali si deve negare l’essere. Allora però il concetto di “Essere” non è più in generale idoneo per servire alla spiegazione dell’espressione “C’è” in modo tale che “Ci sono B” risulti equivalente in significato a “Qualche ente cade sotto il concetto B”. Se però applichiamo a questa parafrasi a “Ci sono soggetti cui deve essere negato l’essere” otteniamo “Qualche ente cade sotto il concetto di non-ente” oppure “Qualche ente non è”. Di qui non se ne esce dando al concetto di ente un significato arbitrario qualsiasi. E’ invece necessario se la spiegazione dell’equivalenza di “Ci sono B” e “Qualche ente è B” ha da essere corretta, che per “Essere” si intenda qualcosa di perfettamente ovvio
2. Per questo la contraddizione continua a sussistere anche se si dice che “A esiste” significa “La rappresentazione di A è prodotta sulla base di un’affezione dell’Io”. In questo casi ci sono anche difficoltà ulteriori : ad es. quando Leverrier si pose la domanda se oltre l’orbita di Urano ci fossero pianeti, non si pose il quesito se la sua rappresentazione di un pianeta oltre l’orbita di Urano fosse sorta o potesse sorgere sulla base di un’affezione dell’Io. Quando si discetta intorno all’esistenza di Dio non si contende intorno alla questione se la nostra rappresentazione di un Dio sia o possa essere sorta sulla base di un’affezione dell’Io. Molti di coloro che credono che ci sia un Dio, negheranno che la loro rappresentazione di Dio sia sorta sulla base di un’affezione immediata dell’Io da parte di Dio.
3. Si può affermare che i significati della parola “esistere”negli enunciati “Leo Sachse esiste” e “Alcuni uomini esistono” non presentano una differenza più marcata di “essere un tedesco” in “Leo Sachse è un tedesco” e “Alcuni uomini sono tedeschi”. Ma gli enunciati “Alcuni uomini esistono” o “Qualche esistente è uomo” hanno lo stesso significato di “Ci sono uomini” solo se il concetto “esistente” sovraordinato al concetto “uomo”. Se dunque quei due modi di esprimersi devono essere generalmente equivalenti, il concetto di “esistente” deve essere sovraordinato ad ogni concetto. Ma questo è possibile solo se la parola “esistere” significa qualcosa di completamente ovvio, di modo che con l’enunciato “Leo Sachse esiste” non venga detto proprio nulla e che nell’enunciato “Alcuni uomini esistono” il contenuto di ciò che si afferma non stia nella parola “esistono”.
4. L’esistenza espressa mediante l’espressione “c’è” non è contenuta nella parola “esistere”, bensì nella forma del giudizio particolare. “Alcuni uomini sono tedeschi” va altrettanto bene come giudizio esistenziale di “Alcuni uomini esistono”. Non appena però si conferisce contenuto alla parola “esistere” così da poterla affermare di un singolo, allora questo contenuto può diventare anche una nota caratteristica di un oggetto, sotto cui cada il singolo del quale viene predicata l’esistenza. Se ad esempio si divide tutto in due classi, ciò che è nel mio spirito e ciò che è fuori di me e si dice di quest’ultimo che esiste, in tal caso si può concepire l’esistenza come una nota caratteristica del concetto di centauro, sebbene non vi siano centauri. Io non riconoscerei come centauro nulla che non fosse fuori dal mio spirito, vale a dire non chiamerei “centauri” le mie mere rappresentazioni
5. L’esistenza espressa con le parole “c’è” non può essere nota caratteristica del concetto di cui è una proprietà, appunto per il fatto che è una sua proprietà. Nell’enunciato “Ci sono uomini” sembra che si parli di individui che cadono sotto il concetto “uomo”, mentre invece si sta parlando solo del concetto “uomo”. Il contenuto della parola “esistere” non può essere considerato una nota caratteristica di un concetto, perché esistere non ha alcun contenuto, così come è impiegato nell’enunciato “Esistono uomini”.
6. Si comprende di qui con quale facilità la lingua ci seduce in false concezioni e quale importanza possa avere per la filosofia di sottrarsi al dominio della lingua. Quando si cerca di edificare un sistema di segni su fondamenta e con strumenti completamente diversi si va a sbattere il naso contro le false analogie della lingua.


Frege dice giustamente che l'esistenza è qualcosa di ovvio, nel senso che corrisponde al rientrare di un concetto sotto un concetto sovraordinato non esplicitato. E tuttavia tale ovvietà è propria solo del livello più basso e comprensivo di esistenza, dal momento che la subordinazione dei concetti si risolve in immediata e tautologica identità ("Esistono enti identici a se stessi", oppure "Ci sono enti") Per quanto riguarda gli altri livelli ontologici, l'esistenza diventa un predicato in quanto la subordinazione di un concetto ad un concetto sovraordinato perchè sia tradotta in proposizione esistenziale deve presupporre che anche il concetto sovraordinato sia subordinato ad altro concetto o che sia immediatamente identico con esso e/o con l'esistenza. In pratica per fare un esempio ("Alcuni corpi sono leggeri" è traducibile in "Esistono corpi leggeri") se e solo se (è vera "Esistono corpi") e ( "Esistono corpi" è traducibile in "Alcuni oggetti sono pesanti") se e solo se (è vera "Esistono oggetti") ed ("Esistono oggetti" è L-equivalente ad "Alcuni enti sono identici a se stessi") e ("Alcuni enti sono identici a se stessi" è a sua volta una tautologia).

Frege e la contraddizione dell’oggetto possibile di esperienza

Punjer, conclude Frege, è stato indotto in affermazioni contraddittorie dall’errore principale di vedere nella parola “esistono” il contenuto dell’enunciato “Esistono uomini”. E’ stato facile persuaderlo che la negazione dell’enunciato “A è esperibile” è assurda se “essere esperibile” = “esistere”. Egli ha del pari dovuto convenire che predicando l’esperibilità non si determina ulteriormente ciò di cui essa viene predicata. D’altra parte egli voleva rivendicare un contenuto all’affermazione di esperibilità. Se infatti enunciati come “Questo tavolo esiste” dice qualcosa, non possono contenere un predicato banale o superfluo. Egli, dice Frege, era indotto nella contraddizione di considerare la negazione dell’enunciato “Questo tavolo è esperibile” non come ovvia e superflua. Si trattava di scegliere dunque per la parola “esperibile” un contenuto tale che non la svuotasse di contenuto.
Secondo Punjer, il contenuto del giudizio “Questo è esperibile” potrebbe essere reso con “La rappresentazione del ‘questo’ non è un’allucinazione o una mia invenzione, bensì è una rappresentazione formata a causa di un’affezione dell’Io da parte del ‘questo’”. A ciò Frege obietta che solo dopo aver formato il giudizio “A questa mia rappresentazione corrisponde qualcosa” si possono formare correttamente enunciati contenenti espressioni come “rappresentazione del ‘questo’” etc. . Infatti se alla mia rappresentazione non corrisponde nulla, l’espressione “rappresentazione del ‘questo’” è senza senso. Inoltre, dice Frege, Punjer da un lato voleva che “L’oggetto della rappresentazione B è esperibile” avesse senso compiuto, ma che al tempo stesso la negazione di “L’oggetto della rappresentazione B è esperibile” fosse assurda. Ma è impossibile conferire al predicato “esperibile” un senso che non sia ovvio ed al tempo stesso voler mantenere nella sua generalità l’idea che negare l’esperibilità non abbia senso. Il concetto di esperibilità acquista un contenuto solo attraverso il restringimento della sua estensione. Tutti gli oggetti si dividono in due classi, quelli dell’esperienza e quelli della rappresentazione e questi ultimi non cadono tutti sotto il predicato esperibile. Dunque non ogni concetto è subordinato al concetto di “esperibile”
Se ne deduce inoltre che il concetto di esperibilità non è in generale atto a trasporre un giudizio che ha l’espressione “c’è” nella forma di un giudizio particolare. Punjer cadeva in contraddizione nel momento in cui sulla base delle sue incoerenti premesse esistevano oggetti di rappresentazione non formati sulla base di un’affezione dell’Io e dunque che fra quanto è esperibile (esistente etc) vi è (esiste, è esperibile) qualcosa di non esperibile (oggetti non formati sulla base di un’ affezione dell’Io) .
Frege conclude che si può anche dire che dalle due premesse “Ci sono oggetti di rappresentazioni che non sono formate sulla base di un’affezione dell’Io” e “Gli oggetti delle rappresentazioni che non sono formate sulla base di un’affezione dell’Io non sono esperibili” segue la conclusione contraddittoria (se “ci sono” è sinonimo di “essere esperibili”) “Ci sono oggetti di rappresentazioni non esperibili”

In realtà Frege trascura che “Rappresentazione di x” non si può formare solo dopo aver appurato che ad una certa rappresentazione corrisponda qualcosa in una presunta realtà. La “x” cui si riferisce la rappresentazione è il contenuto della stessa, contenuto che è il suo oggetto immanente. Altro è vedere se ad un certo livello di esistenza corrisponda qualcosa al contenuto della rappresentazione, ma tale verifica non condiziona la possibilità di parlare di una rappresentazione di un qualcosa.
Inoltre Frege dice una cosa giusta quando afferma che è impossibile conferire al predicato “esperibile” un senso che non sia ovvio ed al tempo stesso voler mantenere nella sua generalità l’idea che negare l’esperibilità non abbia senso. Tuttavia egli non si rende conto che le critiche che egli stesso muove ad alcune posizioni filosofiche (critiche che saranno portate all’iperbole dal Neopositivismo logico) riposano su questa possibilità che egli critica e cioè negare senso ad una posizione filosofica e dare implicitamente valenza conoscitiva sintetica alla posizione contraddittoria a quella considerata insensata (è il caso proprio della tesi che nega senso alle posizioni che considerano le proposizioni esistenziali come delle proposizioni riguardanti oggetti).
Frege infine nota giustamente come ridurre l’esistenza a una categoria subordinata come “esperibilità” porta a contraddizioni come “Ci sono oggetti di rappresentazioni non esperibili”, ma non esplicita il fatto che proprio per questo l’Essere si possa considerare livello basico e onnicomprensivo dell’esistenza dal momento che è immediatamente contraddittorio dire “Ci sono oggetti che non esistono”. Da ciò si deduce che qualsiasi oggetto possa essere predicabile di qualcosa ha un livello minimo di esistenza, altrimenti “Ci sarebbero oggetti che non esistono” sarebbe vera.

Frege e l’esistenza

Frege, nel sintetizzare le questioni sorte durante la discussione con il pastore Punjer, dice che il problema consisteva nello stabilire se, analizzando gli enunciati “Questo tavolo esiste” e “Ci sono tavoli”, il senso di “esiste” nel primo caso fosse equivalente a “Ci sono” nel secondo enunciato. Pare che una differenza ci sia, ma in che senso ? Per prima cosa, premette Frege, bisogna intendersi su come vada concepito un giudizio particolare affermativo contenente la parola “Alcuni” : in logica esso va inteso nel senso delle aggiunte esplicative del tipo “Forse anche tutti, ma almeno uno”.
In tal modo si potrebbe convertire un enunciato come “Alcuni uomini sono negri” in uno come “Alcuni negri sono uomini” (che vuol dire “Alcuni negri, fors’anche tutti, ma almeno un uomo è negro”).
Punjer, secondo Frege, proponeva che l’espressione “Esistono uomini” fosse equivalente in significato a “Qualche esistente è uomo”, ma l’espressione ha come predicato “l’essere uomo” e non l’esistenza. Di fatto però è l’esistenza che viene predicata.
Sin qui, aggiunge Frege si è sempre assunto che dal punto di vista di Punjer, la differenza di significato della parola “esiste” nei due enunciati “Leo Sachse esiste” e “Alcuni uomini esistono” è dello stesso genere di quella dell’espressione “è un tedesco” nei due enunciati “Leo Sachse è un tedesco” e “Alcuni uomini sono tedeschi” . Punjer , continua Frege, intende argomentare che “Ci sono uomini” significa lo stesso che “Tra gli enti c’è qualche uomo” oppure “Una parte di ente è uomo” oppure “Alcuni enti sono uomini”. Però per fare questo bisognava anche argomentare che l’espressione “essere” è usata in quest’ultimo caso nello stesso senso che nell’enunciato “Leo Sachse esiste”. Ora, dice Frege, si può convenire che l’espressione “Ci sono uomini” ha lo stesso significato di “Alcuni esistenti sono uomini”, ma solo a condizione che la parola “esistere” contenga un’affermazione ovvia e che dunque sia priva di contenuto. Se però l’enunciato “Leo Sachse è” è ovvio, allora nella parola “è” non può essere racchiuso lo stesso contenuto della parola “c’è” così come occorre nell’enunciato “Ci sono uomini”, poiché questo non dice nulla di ovvio. Quale che sia la formulazione (“Alcuni uomini esistono”, “Alcuni esistenti sono uomini”, “Esistono uomini”, “Ci sono uomini”, “Fra gli enti c’è qualche uomo”) l’errore consiste nel ritenere che il contenuto di tali affermazioni sia racchiuso nella parola “esistere”.
Ma non è così che stanno le cose : vi è contenuta solo la forma della predicazione, così come nell’enunciato “Il cielo è blu” la forma della predicazione è contenuta nella formula “è”. “Esistere” in quest’enunciato è una locuzione ausiliare come “Es” in “es regnet”. Come la lingua si è servita di “Es” come soggetto grammaticale, qui nella difficoltà di trovare un predicato grammaticale ha fatto ricorso ad “esistere”.
Che il contenuto dell’affermazione non risieda nella parola “esistere”, è dimostrato anche dal fatto che invece di esistere si potrebbe dire “identico a se stesso”. “Ci sono uomini” ha lo stesso significato di “Alcuni uomini sono identici a se stessi” oppure “Qualcosa di identico a se stesso è un uomo”. Dall’enunciato “A è identico a se stesso” si apprende altrettanto poco di nuovo su A che dall’enunciato “A esiste”. Nessuno di questi due enunciati può venir negato ed in entrambi si può sostituire ad A quel che si vuole e restano corretti. Essi non assegnano A ad una di due classi al fine di distinguerlo da un B che non vi appartiene. Si deve riconoscere che “Questo tavolo esiste” e “Questo tavolo è identico a se stesso” sono perfettamente ovvi e non vi si predica alcun contenuto genuino riguardo a questo tavolo.
Così come si potrebbero chiamare giudizi esistenziali enunciati come “Esistono uomini” assumendo che il contenuto dell’affermazione risieda nella parola “esistono”, allo stesso modo si potrebbero chiamare giudizi di identità enunciati come “Alcuni uomini sono identici a se stessi”. In questo caso “Ci sono uomini “ sarebbe un giudizio di identità. In generale potremmo scambiare “esistere” con “identico a se stesso” in ogni argomentazione volta a mostrare che il predicato dell’enunciato “Ci sono uomini” è rintracciabile nell’”esistere” di “Esistono uomini” senza con questo incorrere in nuovi errori.
Se però il contenuto dell’affermazione nel giudizio “Esistono uomini” non risiede nell’”esistono”, dov’è che risiede ? Nella forma del giudizio particolare : ogni giudizio particolare è un giudizio esistenziale, che può essere trasformato nella locuzione “Ci sono…”. Ad es. “Alcuni corpi sono leggeri” è lo stesso che “Ci sono corpi leggeri”, “Alcuni uccelli non volano” è lo stesso che “Ci sono uccelli che non volano”.
Più difficile è l’inverso: trasformare un enunciato con la locuzione “Ci sono…” in un giudizio particolare. La parola “Alcuni” non ha senso al di fuori del contesto e svolge la propria funzione logica solo nel contesto dell’enunciato. Tale funzione consiste nel mettere in una determinata relazione logica due concetti : nell’enunciato “Alcuni uomini sono negri” i concetti “uomo” e “negro” vengono posti in questa relazione e c’è sempre bisogno di due concetti se si vuole formare un giudizio particolare. Naturalmente è facile passare dall’enunciato “Ci sono pesci volanti” all’enunciato “Alcuni pesci possono volare” perché si hanno due concetti “pesce” e “avente la possibilità di volare”. Le cose sono più difficili quando si opera sull’enunciato “Ci sono uomini”. Se si definisce “uomo” come “essere vivente razionale” si può anche dire “Alcuni esseri viventi sono razionali” e questo è equivalente a “Ci sono uomini”, assumendo la correttezza di quella definizione.
La correttezza di questo procedimento presuppone che si possa scomporre il concetto in due note caratteristiche. Un’altra possibilità è legata a questa. Se ad es. si vuole trasporre “ Ci sono negri” nella forma di un giudizio particolare si può porre : negro = negro che è uomo (dal momento che il concetto “negro” è subordinato al concetto “uomo”). In questo modo si hanno di nuovo due concetti e si può dire “Alcuni negri sono uomini”. Per l’enunciato “Ci sono betulle” si dovrebbe scegliere un altro concetto sovraordinato come ad es. “albero”. Volendo conferire completa generalità a questo procedimento, si deve cercare un concetto sovraordinato a tutti gli altri concetti. Tale concetto non avrà contenuto essendo la sua estensione illimitata ed ogni contenuto può consistere solo in una restrizione dell’estensione. Un concetto siffatto potrebbe essere “Identico a se stesso” : infatti si potrebbe dire che ci sono uomini è lo stesso che “Alcuni uomini sono identici a se stessi” oppure “Qualcosa che è identico a se stesso è un uomo”.
La lingua però, dice Frege, ha scelto un’altra via. Per formare un concetto senza contenuto si è servita della copula, la mera forma dell’affermazione senza contenuto. In “Il cielo è blu” ciò che viene affermato è “è blu”, ma il contenuto vero e proprio dell’affermazione sta nella parola “blu”. Se la si omette resta un’affermazione senza contenuto (“Il cielo è”). Si può quindi dire : uomini = uomini che sono. “Ci sono uomini” è lo stesso che “Alcuni uomini sono” o “Qualche ente è uomo”. Il vero contenuto del predicato però non sta nella parola “ente”, ma nella forma del giudizio particolare. Si forma così il quasi-concetto di “ente”, senza contenuto e di estensione infinita. La parola “ente” è dunque un sotterfugio della lingua pere rendere possibile l’impiego della forma del giudizio particolare. Quando i filosofi parlano di “Essere assoluto” questa non è altro che una divinizzazione della copula.
Ciò è accaduto perché si avvertì che ad es. l’enunciato “C’è un centro della massa terrestre” non è banale e l’affermazione ha un contenuto. Ed è anche perfettamente comprensibile che si sia ritenuto di rinvenire questo contenuto nella parola “esistere”, ricorrendo al giro di frase “Esiste un centro della massa terrestre”. Intorno alla parola “esistere” si addensò così un contenuto, senza che tuttavia nessuno fosse in grado di spiegare in cosa propriamente consistesse.

La differenza tra "Ci sono.." ed "Esiste" al massimo è di grado, di livello ontologico : "Ci sono..." introducendo nel discorso un oggetto, si riferisce ad un livello ontologico più esteso e più basso, all'interno del quale si costituisce il giudizio di esistenza con "Esiste.." che fa riferimento ad un livello ontologico più alto e ristretto, che è il tema trattato dal discorso stesso.
Frege di fronte a "Alcuni uomini esistono" opera un sofisma dicendo che "esiste" in questo caso è solo un ausiliare, giacchè si tratta di enunciato del tutto ovvio. In realtà ciò dipende dal livello di esistenza in cui "alcuni uomini" si fanno rientrare. L'enunciato è ovvio solo se "esiste" è inteso nel suo senso più onnicomprensivo. Punjer ha ragione in un certo senso quando dice che "Alcuni uomini esistono" vuol dire "Alcuni esistenti sono uomini", nel senso che si tratta di un'intersezione tra l'insieme degli esistenti ad un certo livello e l'insieme degli uomini (insieme distribuito all'interno di più livelli di esistenza, nel senso che ci sono uomini solo immaginati da soggetti interni a questo mondo possibile, come Renzo Tramaglino, uomini che sono stati accessibili ai sensi dei soggetti interni a questo mondo possibile ma che non lo sono più, come Giulio Cesare, e uomini ancora accessibili a tali soggetti, come Giorgio Napolitano). Ovviamente anche Frege ha in un certo senso ragione quando dice che il predicato non è "esiste" ma "essere uomo", ma proprio perchè si tratta di un'intersezione tra due insiemi e dunque le due posizioni sono integrabili tra loro.
Il fatto che poi si possa sostituire a "esiste" anche "essere identici a se stessi" senza alterare il valore di verità dell'enunciato non vuol dire niente, dal momento che l'equivalenza vero-funzionale non implica alcuna identità di senso. Oltre al fatto che l'identità di una cosa con se stessa potrebbe coimplicare la consistenza e quindi l'appartenenza ad un livello molto comprensivo di esistenza, appartenenza necessaria ad un oggetto per essere ricompreso in livelli a loro volta più ristretti di esistenza. Pure dire che il contenuto dell'affermazione "Esistono uomini" è in realtà nell'affermazione particolare non è una negazione che il predicato sia "esiste", giacchè l'inclusione in una classe potrebbe ben essere l'inclusione in un livello di esistenza determinato. Frege fa l'esempio dell'equivalenza tra "Esistono corpi leggeri" e "Alcuni corpi sono leggeri" : in realtà perchè tale equivalenza sia esplicitata bisogna completare la proposizione "Alcuni corpi sono leggeri" traducendola in "Alcuni corpi esistenti nel mondo fisico sono leggeri" o "Alcuni corpi esistenti nel nostro mondo possibile sono leggeri". Infatti se "mago Merlino è un uomo" è vera si potrebbe dire che "Alcuni uomini sono dei maghi" senza implicare che "Esistono dei maghi" possa essere considerata vera e dunque in questo caso l'affermazione esistenziale e quella particolare non sarebbero equivalenti. Con "Esistono uomini" Frege deve fare poi un'altra operazione discutibile e cioè tradure "Uomo" in "Essere vivente razionale" (assumendo che non vi siano altri esseri viventi razionali) al fine di permettere la formazione di una affermazione particolare considerabile equivalente alla suddetta proposizione esistenziale.
Il fatto che sia più difficile tradurre una proposizione esistenziale in una particolare che non l'inverso da un lato segnala che l'identificazione proposta da Frege è anch'essa problematica, dall'altro individua la difficoltà nel fatto che bisogna trovare un insieme di oggetti esistenti (ad un livello ontologico considerato adeguato) nel quale rientri l'oggetto di cui si afferma l'esistenza (ad es. nel caso di "esistono uomini" bisogna trovare l'insieme degli esseri viventi)
Frege poi incorre nell'opzione parmenidea (senza trarne le dovute conseguenze) quando dice che per dare generalità al procedimento di ascesa da concetti meno comprensivi ad oggetti più comprensivi, si deve trovare un concetto sovraordinato a tutti gli altri concetti. Ancora più significativo che egli trovi nell'identità di se con sè tale concetto, riproponendo l'equivalenza hegeliana (o meglio eleatica) tra l'Essere e il Concetto (o l'autoidentità), quando in precedenza tale sostituibilità era stata usata solo per criticare la concezione per cui l'esistenza potesse essere un predicato.
Frege infine fa male a criticare l'uso della copula senza predicato, dal momento che tale operazione rimanda proprio al genere sommo ed al suo essere proprio l'identità e cioè l'equivalenza tra il concetto che include ed il concetto che è incluso. Ogni oggetto trova comunanza con tutti gli altri nell'essere identico a se stesso : tale identità lungi dall'essere un che di vuoto, è il risultato di un'ascesa verso concetti sempre più comprensivi, ascesa al termine della quale l'oggetto è confermato nella sua ricchissima individualità, individualità nella quale sono ricompresi tutti i concetti intermedi che sono stati elencati in quest'ascesa. Nella copula senza predicato, nel termine "esiste" si allude a tale ascesa e la si presenta come un dato misterioso che va chiarito appunto dalla riflessione conoscitiva (non a caso Leibniz indugiava sul mistero che qualcosa esiste e non il nulla). L'estensione infinita di "ente" non è altro che la comprensione infinita del sommo genere e l'equivalenza tra l'esistenza e l'essere identici a se stessi.

Sunday, November 11, 2007

Frege, i concetti e l'esistenza

Durante la disquisizione con Punjer, Frege dice che, per quel che riguarda enunciati come "Ci sono radici quadrate di 4", la differenza con giudizi come "Ci sono uomini" non sta nel "ci sono", ma nella diversità dei concetti "uomo" e "radice quadrata di '4'". Per uomo intendiamo qualcosa di autonomamente sussistente, per radice quadrata di 4 no.
Se si dice che ci sono oggetti di rappresentazioni che non sono stati prodotti da un'affezione dell'Io e dunque non esistono, nel caso "esistono" venga inteso come "esserci" ci troveremmo dinanzi ad una contraddizione.
"Ci sono esseri viventi" è poi per Frege l'enunciato che "qualunque cosa si intenda con A, A non cade sotto il concetto 'essere vivente'" è falso. Il significato che si dà in questo caso ad A non deve essere soggetto ad alcuna restrizione. Dovendosene dire qualcosa potrebbe solo trattarsi di qualcosa di ovvio (un qualunque oggetto la cui definizione non implica alcuna contraddizione) intendendosi per ovvio ciò che non determina ulteriormente ciò su cui verte. Un affermazione verte sempre su qualcosa dal momento che "Ci sono affermazioni che non vertono su qualcosa" significherebbe "Ci sono giudizi nei quali non si può distinguere il soggetto dal predicato".
"Alcuni uomini sono tedeschi" equivale a "Ci sono uomini tedeschi", come pure "Sachse è un uomo" implica "Ci sono uomini", come pure "Sachse è un uomo" e "Sachse è un tedesco" implicano "Alcuni uomini sono tedeschi" o "Ci sono uomini tedeschi". Qualcuno potrebbe obiettare che "Alcuni uomini sono tedeschi" non significa la stessa cosa di "Ci sono uomini tedeschi" e che non è lecito inferire dal solo enunciato "Sachse è un uomo" che "Ci sono uomini", ma che si ha bisogno anche dell'enunciato "Sachse esiste"
A queste obiezioni Frege replica che se "Sachse esiste" sta a significare "La parola 'Sachse' non è un mero suono, ma designa qualcosa" allora è giusto esigere che la condizione "Sachse esiste" sia soddisfatta. Ma qui non abbiamo a che fare con una nuova premessa, bensì con un ovvia presupposizione insita in tutte le nostre espressioni. Le regole della logica presuppongono sempre che le parole usate non siano vuote, che gli enunciati siano espressione di giudizi, che non si facciano solo giochi di parole. Non appena "Sachse è un uomo" diventa un giudizio effettivo, la parola "Sachse" deve designare qualcosa e quindi non ho bisogno di ulteriori premesse per potre dedurre "Ci sono uomini". La premessa "Sachse esiste" è superflua e sta a significare null'altro che quell'ovvia presupposizione di tutto il nostro pensiero. Saprebbe darmi un esempio in cui l'enunciato della forma "A è un B" ha senso ed è vero (dove A è il nome di un individuo), mentre l'enunciato "Ci sono B" è falso ? "Alcuni uomini sono tedeschi" può essere espresso anche così : "Una parte degli uomini cade sotto il concetto 'tedesco' ". Qui però per "parte" non si deve intendere una parte vuota, bensì una parte che contiene individui. Se così non fosse, non esisterebbe alcun uomo che è tedesco e si dovrebbe dire "Nessun uomo è tedesco". Ma questo è appunto il contraddittorio di "Alcuni uomini sono tedeschi". Pertanto si può per converso, inferire da "Alcuni uomini sono tedeschi" la proposizione "Ci sono uomini tedeschi".


Perchè la parola "esiste" ha diverse accezioni ? Ed utilizzare una parafrasi dove non ci sia "esiste" è sufficiente per risolvere il problema, se poi tale parafrasi può essere ritradotta con "esiste" ? Se solo un'opzione volontaristica può portarci ad utilizzare un determinato enunciato ?
Frege poi sembra avallare la concezione parmenidea dell'Essere quando dice che un affermazione verte sempre su qualcosa dal momento che "Ci sono affermazioni che non vertono su qualcosa" significherebbe "Ci sono giudizi nei quali non si può distinguere il soggetto dal predicato". Ma allora anche le affermazioni su concetti vertono su qualcosa e dunque anche i concetti possono essere gli oggetti di una proposizione. Dunque dire che un affermazione non è affermazione su oggetti, ma solo un'affermazione su concetti è quantomeno vaga se non del tutto errata. Inoltre in ogni proposizione è sempre implicito un livello minimo di esistenza. Frege la interpreta come un impegno del parlante a presupporre l'esistenza di ciò di cui si parla, ma la logica non si può fondare su un impegno soggettivo e contingente : ci devo essere oggettive condizioni di possibilità che consentano di enunciare un'asserzione e tale condizione di possibilità è appunto l'Essere o meglio il livello minimo di esistenza, quello che ci consente di affermare qualcosa di qualche altra cosa. Naturalmente questo livello è molto tenue, debole, tale da poter essere facilmente rimosso, ma la filosofia deve appunto platonicamente (la reminiscenza) garantire il ritorno del rimosso.
Frege fa poi un parallelismo sbagliato tra ("Leo Sachse è un uomo" implica "Leo Sachse esiste") e ("Alcuni uomini sono tedeschi" implica "ci sono uomini tedeschi"). Il parallelismo corretto sarebbe con ("Alcuni uomini sono tedeschi" implica "Ci sono uomini"). Ma c'è un ulteriore passo da fare : anche "Nessun uomo è tedesco" deve implicare "Ci sono uomini tedeschi", anche se ad un livello diverso di esistenza, giacchè non si può asserire nulla degli uomini tedeschi (o del concetto "uomo tedesco") se non fossero esistenti almeno ad uno dei livelli di esistenza. Un concetto sotto cui non cade alcun oggetto è solo un rapporto di mancata corrispondenza tra due livelli di esistenza, per cui dire che il concetto è vuoto equivale a dire che l'oggetto in questione è il concetto (passaggio dal linguaggio al metalinguaggio)

Frege, l'esistenza e l'esperibilità

Frege nel dialogo con il teologo protestante Punjer chiede cosa significhi "è" in "Ciò che è....". Qualcosa di esperibile per noi ? Non è forse superfluo affermare l'esperibilità di qualcosa ? Se si ipotizza che ci sono rappresentazioni a cui non corrisponde alcunchè di esperibile, nell'enunciato "A è qualcosa di esperibile" il soggetto non linguistico è A oppure la rappresentazione di A ? Con l'affermazione di esperibilità viene determinato ciò da cui essa è predicata ? E se no, non è superfluo affermare l'esperibilità di qualcosa, dal momento che così non si apprende nulla di nuovo circa l'oggetto di tale affermazione ? Se poi "Questo è esperibile" vuol dire "La rappresentazione di 'questo' non è un'allucinazione" e dunque implica due specie di rappresentazione, allora il soggetto materiale di "A è qualcosa di esperibile" sarebbe la rappresentazione (che è ciò che è determinabile dall'attributo "esperibile").
In ogni enunciato, dice Frege, il soggetto concreto può essere raccolto in una classe e distinto da tutto ciò che non cade in questa classe. Negli enunciati "Ci sono uomini" o "Non ci sono centauri" si trova anche una classificazione. Essi però non classificando le cose, che in un caso neppure esistono e nell'altro non possono essere raccolte in una delle due classi, bensì classificano i concetti "uomo" e "centauro", assegnando il primo alla classe dei concetti sotto cui cade qualche oggetto, ed escludendo il secondo da questa classe. Perciò, per Frege, i concetti costituiscono il soggetto materiale su cui vertono questi enunciati. Nel caso dell'esperibilità il soggetto è una rappresentazione, visto che si sta facendo una classificazione delle rappresentazioni. Si può dire anche che la rappresentazione ha la proprietà di avere qualcosa che le corrisponde. Non si può dire però che questo qualcosa sia esperibile, altrimenti "esperibile" verrebbe spiegato tramite se stesso (Una rappresentazione sarebbe esperibile quando ad essa corrisponde qualcosa di esperibile)
Inoltre se si ammette che l'oggetto della rappresentazione è diverso dall'immagine della rappresentazione stessa, quando abbiamo un'allucinazione della fata morgana, qual è l'oggetto della rappresentazione ?

In primo luogo va notato che "è" si riferisce ad un insieme di oggetti più vasto di quello a cui si riferisce "ciò che è esperibile", a meno che fenomenologicamente nel concetto di "esperibilità" rientri anche quello di "pensabilità". E nemmeno in questo caso forse dal momento che ci potrebbero essere entità impensabili nelle loro concrete determinazioni (esse sarebbero cioè categorizzabili solo come "impensabili")
Dunque dobbiamo distinguere tra esperibilità intesa come possibilità di un oggetto di essere accessibile ai sensi ed esperibilità intesa come possibilità di un oggetto di essere oggetto intenzionale, fenomenologicamente inteso. Un oggetto pensato o desiderato non è oggetto di esperienza se usiamo la prima definizione, ma lo è se usiamo la seconda.
E' superfluo affermare l'esperibilità d qualcosa ? Sicuramente no se ci chiediamo se un oggetto possa avere le proprietà adatte perchè sia accessibile ai sensi, se cioè si discute di entità che si reputano situate nel mondo fisico, ambito che è diverso dal mondo spazio-temporalmente inteso dal momento che molti oggetti dell'immaginazione possono avere relazioni spaziali e temporali tra di loro.
Anche dire che con l'affermazione di "esperibilità" non viene in alcun modo determinato ciò di cui essa si predica è quanto meno incauto, dal momento che se si accetta la prima definizione di "esperibilità", questa ci può suggerire che l'oggetto di cui essa si predica ha altre proprietà. Dunque si può anche dire che l'esperibilità sia un predicato.
Quanto all'esistenza (che va distinta, come detto prima, dall'esperibilità quale che sia la definizione di quest'ultima che viene adottata) la questione è più spinosa, dal momento che si potrebbe dire che se l'esistenza non è un predicato, "x esiste" è o analitica o contraddittoria (e qualcuno potrebbe dire che la prova ontologica sia il tentativo di dimostrare il carattere analitico dell'esistenza di Dio). Magari qualcuno potrebbe parlare di "unsinnig" o "sinnlos", ma questi sono termini a loro volta vaghi e utili retoricamente "ad hoc" (si dicono "insensati" i termini non compresi nel personalissimo vocabolario di chi scrive)
"A è esperibile" costringe Frege a chiedersi quale sia il soggetto logico della proposizione proprio in quanto non si distingue tra diversi livelli di esistenza : in realtà il soggetto è l'ente A, che ha un certo livello di esistenza (è immaginato o pensato), e di cui si afferma l'inclusione anche in un altro livello di esistenza (può cioè essere accessibile ai sensi). La locuzione "rappresentazione di A" è spesso controproducente nel discorso ontologico (magari non lo è nel discorso prasseologico), dal momento che si rimuove il fatto che "la rappresentazione di A" è "A inteso nel livello immaginario di esistenza" : in pratica la rappresentazione di A non è altro da A, se non in un senso molto specifico, che qui non ha rilevanza.
Dire poi che nei giudizi esistenziali il soggetto logico è un concetto e non un oggetto, da un lato è dare eccessiva importanza ed un'interpretazione capziosa allo spostamento da un livello di linguaggio oggetto ad un livello di metalinguaggio, dall'altro lato rinvia semplicemente la questione giacchè la paradossalità dell'oggetto che non esiste viene sostituita dalla nozione di un concetto privo di oggetti (che si tradurrebbe nella analoga paradossalità dell'insieme vuoto, o del predicato senza soggetto )che può essere ritradotto con "Non esistono oggetti che cadono sotto il concetto A".
Quanto alla "fata Morgana" l'oggetto della rappresentazione è appunto la fata Morgana, dal momento che l'oggetto di una rappresentazione non è altro dal suo contenuto, a cui può contingentemente corrispondere l'oggetto di una sensazione.

Tuesday, November 06, 2007

La negazione in Frege

Un pensiero è vero o falso. Nel giudicarlo lo riconosciamo come vero o lo respingiamo come falso. Ma il pensiero respinto non cade in oblio, perchè sapere che un pensiero sia falso è importante come sapere che un pensiero sia vero, anzi sapere che un pensiero sia falso è sapere che un altro pensiero è vero.
In tedesco si dichiara falso un pensiero premettendo la parola "non" al predicato. Anche in questo caso l'asserzione non è connessa con la negazione, ma nella forma del modo indicativo. Possiamo poi lasciar cadere l'asserzione e tuttavia mantenere la negazione. Si può dire altrettanto bene : "Il pensiero che Pietro non andò a Roma" o "Il pensiero che Pietro andò a Roma". L'asserire e il giudicare non differiscono quando asserisco che Pietro non andò a Roma e quando asserisco che Pietro andò a Roma : solo i pensieri sono opposti.
Ogni pensiero ha un opposto : si tratta di una relazione simmetrica. Quando un pensiero A è opposto al pensiero B, quest'ultimo è opposto al pensiero A. Nel dichiarare falso il pensiero che Pietro non andò a Roma, si asserisce che Pietro andò a Roma. Si potrebbe aggiungere un secondo "non" e dire "Pietro non non andò a Roma" oppure "Non è vero che Pietro non andò a Roma". Risulta così che la doppia negazione si annulla. L'opposto dell'opposto dà ciò che avevamo all'origine.
Nel considerare la verità di un pensiero oscilliamo tra pensieri opposti e col medesimo atto riconosciamo l'uno vero e l'altro falso. Ci sono altre relazioni di questo tipo, bello/brutto, buono/cattivo, positivo/negativo in matematica e fisica. La nostra dicotomia però si distingue per un duplice aspetto.
In primo luogo, qui non v'è nulla che possa occupare una posizione di mezzo, neutra tra opposti, come lo zero o l'assenza di elettricità. Si può certo dire che lo zero è l'opposto di se stesso relativamente al positivo e al negativo, ma non c'è alcun pensiero che sia l'opposto di se stesso. Ciò vale persino in poesia. In secondo luogo non abbiamo a che fare qui con due classi, tali che i pensieri appartenenti ad una classe hanno il loro opposto nell'altra classe, così come esiste una classe di numeri positivi e di numeri negativi. L'uso della parola "non" è solo una caratteristica esteriore ed inattendibile.
Si hanno anche altri segni per la negazione come la parola "nessuno" o il prefisso "in-". Tuttavia apparirebbe poco opportuno dire che gli enunciati "Questo lavoro è mal fatto", "Questo lavoro è sufficiente", "Questo lavoro non è mal fatto", "Questo lavoro è insufficiente" contengono i primi due pensieri che appartengono ad una classe e gli ultimi due pensieri che appartengono all'altra classe, in considerazione del fatto che "mal fatto" e "insufficiente" sono assai vicini nel senso ed è ben possibile che in un'altra lingua la parola "insufficiente" sia resa mediante una parola in cui la negazione sia altrettanto poco riconoscibile che in "mal fatto". Non si riesce a vedere sotto quale aspetto i primi due pensieri dovrebbero essere più affini tra loro che non il primo e l'ultimo.
A ciò va aggiunto che le negazioni possono figurare non solo nel predicato della frase principale, ma anche in altre posizioni e che queste negazioni non si elidono tanto semplicemente. Così ad es. al posto dell'enunciato "Non tutti i lavori sono insufficienti" non possiamo dire "Tutti i lavori sono sufficienti". Oppure in luogo di "Chi non è stato diligente non verrà premiato" non si può dire "Chi è stato diligente verrà premiato". Si confrontino anche gli enunciati "Chi è premiato è stato diligente", "Chi non è stato diligente va via a mani vuote", "Chi è stato pigro non verrà premiato", "2 alla quarta potenza non è diverso da 4 alla seconda potenza" e "2 alla quarta potenza è uguale a 4 alla seconda potenza".
Frege conclude che non è nota alcuna legge logica che tratti della ripartizione dei pensieri nelle classi di affermativi e negativi.
Il prefisso "In-" infine non funge sempre da negazione : ad es. "unschon" quanto a senso differisce poco da "hasslich" . Il contrasto con "schon" non è quello della negazione. Pertanto anche gli enunciati "Questa casa non è unschon" e "Questa casa è schon" non hanno lo stesso senso.


Frege, nell'affrontare la negazione, nota che si può anche asserire una negazione, essendo una negazione sempre determinata. Con ciò egli intuisce il carattere dialettico della negazione. Tale intuizione è confermata anche dal fatto che ciò che è negato per Frege non viene obliato perchè sapere che un pensiero sia falso è sapere che un altro pensiero sia vero (ed in ciò sembra risentire Hegel)
Frege ha anche buon gioco a mostrare che la dicotomia tra vero e falso non è come altre dicotomie che prevedono un termine neutro (anche se su questo le logiche polivalenti consentono qualche dubbio)o prevedono oggetti e contro-oggetti specularmente contrari ai primi (es. i numeri positivi e negativi)
Quanto agli esempi apparentemente paradossali fatti per spiegare l'uso corretto dela negazione essi si riconducono, oltre al fatto che molte coppie di opposti prevedono un termine neutro (es. "schon" e "hasslich"), anche all'uso dei quantificatori.

Logica e psicologia in Frege : la confutazione dello psicologismo

Le trattazioni psicologiche della logica partono spesso dall'idea che il pensiero sia qualcosa di psicologico come la rappresentazione. In questo modo spesso sfociano nell'idealismo. Particolarmente sorprendente è il confluire dell'idealismo nella psicologia fisiologistica, in netto contrasto con il punto di partenza realistico di questa impostazione. Si parte da fibre nervose e da stimoli e si cerca di capire meglio la rappresentazione, ipotizzando tacitamente che i processi che hanno luogo in gangli e nervi siano più comprensibili della rappresentazione. Come si conviene ad una brava scienza sperimentale si presuppone che nervi e gangli siano qualcosa di oggettivo e reale. Questo può andare se ci si limita alla rappresentazione. Ma non ci si ferma qui e si procede sino al pensiero ed al giudizio ed il realismo iniziale si trasforma in idealismo estremo e questa teoria finisce per recidere il ramo che la sostiene : tutto diventa rappresentazione e così anatomia e fisiologia diventano finzione e così la spiegazione della rappresentazione stessa, per cui un fantasma perde il diritto di confutare un altro fantasma.
Un edificio di rappresentazioni non costituisce un pensiero, così come un automa sia pur ingegnosamente costruito non può passare per un essere vivente.Sommando inanimato ad inanimato si ottiene ancora inanimato. La legge di gravitazione non dipende affatto da quel che succede nel mio cervello, anche se la comprensione di tale legge è un processo psichico. Per il successo di un'indagine scientifica è essenziale che i processi che possono essere trattati indipendentemente gli uni dagli altri non vengano mescolati tra di loro per non rendere le cose inutilmente complicate.
La logica si interessa delle leggi dell'esser vero e non di come si ritiene vero, si può intendere come insieme di prescrizioni più che di descrizioni (nomotetiche più che idiografiche). Il logico non deve indagare quale sia il corso naturale del pensiero che è diverso a seconda del periodo o del luogo considerato (vista la diversità delle grammatiche). Nè deve far assurgere a norme le consuetudini psicologiche del senso comune (che sono soggette sempre ad eccezioni che le rendono incomplete). Nella concezione psicologistica della logica viene meno la differenza tra le ragioni che giustificano un convincimento e le cause che lo determinano. Dunque una giustificazione vera e propria diventa impossibile e al suo posto subentra il racconto di come si è arrivati a quel convincimento, cosa che mette insieme il vero e il falso.
Se le leggi logiche sono concepite come leggi psicologiche si pone il quesito se sono soggette a cambiamento nel tempo, se sono come regole che in certi momenti della storia vengano messe in discussione. Ma se si tratta di leggi esse dovrebbero essere sempre vere a meno che non vengano sottoposte a condizione (uno stato del cervello), ma l'esser vero non dipende dal cervello.
Le leggi dell'esser vero se sono vere sono sempre vere : non possono contenere condizioni soddisfatte in un certo periodo di tempo e non in un altro, perchè trattano dell'esser vero dei pensieri, i quali se sono veri sono atemporalmente veri.
Riassumendo :
1. I pensieri non appartengono come le rappresentazioni alla mente dei singoli individui, ma sono indipendenti dall'essere pensati e si presentano ad ognuno nello stesso modo. Non vengono prodotti, ma solo afferrati dal pensiero. Sono oggettivi come le cose fisiche, ma non hanno carattere spazio-temporale e dunque la loro validità è atemporale.
2. Una trattazione psicologica della logica può essere dannosa. La logica deve purificare l'elemento logico da tutto ciò che è estraneo, dalla componente psicologica e da quella grammaticale. Essa tratta dell'essere vero e non del ritenere vero e dunque si occupa di come si deve fare a non lasciarsi sfuggire la verità.

Frege come Bergson individua il circolo vizioso dell'epistemologia naturalistica che alla fine riducendo tutto a rappresentazione neurofisiologicamente spiegata, riduce anche la propria teoria a rappresentazione e condivide tale destino con tutte le rappresentazioni da essa descritte. Egli pensa che tale epistemologia rischi alla fine di confluire in un idealismo soggettivistico. In realtà l'epistemologia naturalistica è tendenzialmente schizofrenica e non riesce nemmeno ad incorrere nella contraddizione a causa del suo doppio registro e della sua mancanza di consequenzialità. Naturalmente la critica di Frege si può evitare con una concezione realistica e platonistica per la quale la struttura della realtà si riproduce isomorficamente nella visione del soggetto conoscente e nella rappresentazione neurologica che sostanzia quest'ultima. In questo caso però l'epistemologia non sarebbe la filosofia prima, ma sarebbe derivata da un'ontologia non regolata e legittimata da un'epistemologia. In tal caso non sarebbe possibile un'epistemologia costruttivista che smonti l'immagine dell'oggetto e la ricombini per ottenere immagni alternative. A meno che tutte le immagini ottenibili da un'epistemologia costruttivista non rappresentino possibilità contenute in una realtà che non sia ristretta all'effettività naturalisticamente intesa (e questo sarebbe possibile in un idealismo oggettivo e prospettivistico di tipo leibniziano)
Quanto allo psicologismo egli evidenzia il fatto che esso tende a confondere contesto di scoperta e contesto di giustificazione. Tuttavia egli confonde il logico e l'atemporale (infinità in durata in uno degli infiniti mondi possibili) con ciò che è permanente (infinità in durata in questo mondo possibile, per cui giunge alla controintuitiva conclusione che le leggi sia logiche che fisiche debbano essere sempre vere.
Che una legge logica non sia psicologica non implica che sia valida in maniera universale e necessaria. Che sia oggettiva non implica che sia perennemente valida. E' vero che le strutture logiche sono atemporali nel senso che non cambiano altrimenti si trasformerebbero in strutture logiche diverse, ma ciò non implica che non possano coesistere strutture logiche diverse tra loro ed il pensiero soggettivo nel corso del tempo afferri prima una struttura e poi un'altra contraddittoria alla prima, senza che ciò comporti una contraddizione.
Frege poi pone una distinzione tra "essere vero" e "ritenere vero" che rischia però di essere ambigua in quanto "riconoscere vero qualcosa" può significare sia "ritenere che qualcosa sia vero" sia "riconoscere come vero qualcosa che è vero" : Hegel con la dialettica di "posto e presupposto" è più avanti di Frege, che non è consapevole del fatto che "essere vero" è concretamente ciò che Frege ritiene sia vero, mentre ciò che si ritiene essere vero è, dal punto di vista del soggetto considerato, assolutamente vero.
Frege poi sovrappone "l'esser sempre vero" con "l'esser sempre vero nell'istante T", per cui non si capisce cosa intenda per l'esser sempre vero di una legge : una legge che valga per un solo istante per due soli oggetti è pur sempre una legge ? Inoltre che c'entrano con la logica le verità fattuali del tipo "Bruto assassinò Cesare" ?
Si può magari anche individuare un circolo vizioso nella teoria di Frege il quale fonda la verità atemporale dei pensieri sulla logica e quest'ultima ( che consiste di pensieri) sul carattere atemporale della verità dei pensieri.
Frege poi stabilisce come già visto una eccessiva distanza tra logos e rappresentazione e nega addirittura che si possa colmare lo iato tra biologico e meccanico, cosa non ovvia dopo le tante ricerche dell'I.A. e delle scienze cognitive e dopo l'elaborazione del concetto di emergenza che consente di spiegare la sortita del novum in Natura attraverso la dialettica della quantità che si trasforma in qualità. Frege rischia di sconfinare nello spiritualismo, mentre una concezione realistica permette grazie alla nozione di isomorfismo di conciliare materialismo e idealismo.

Monday, November 05, 2007

Logica e grammatica in Frege

Una difficoltà è costituita dal fatto che si pensa in una data lingua e che la grammatica, che per la lingua ha un significato analogo a quello che la logica ha per il giudicare, mescola insieme logica e psicologia, altrimenti tutte le lingue avrebbero la stessa grammatica. Di qui l'importanza dello studio delle lingue : al variare delle fogge in cui il pensiero si presenta, impariamo a distinguerle più chiaramente dal nucleo logico. Attraverso la diversità delle lingue è facilitata la comprensione dell'elemento logico, anche se il fatto che i manuali di logica si trascinano sempre dietro qualcosa che non appartiene alla logica (tipo il soggetto ed il predicato) rende utile anche la conoscenza di un mezzo di espressione assolutamente artificiale come ad es. le formule matematiche o un linguaggio logico formale.
La prima e principale cosa è rappresentare gli oggetti di indagine nella loro purezza. Solo così si sarà in grado di compiere quei riconoscimenti che anche in logica sono forse le scoperte basilari. Due diversi enunciati possono esprimere lo stesso pensiero e del contenuto dell'enunciato ci interessa solo quel che può essere vero o falso. Se nella forma passiva fosse contenuta anche solo una traccia di pensiero in più di quella attiva, sarebbe pensabile che questa traccia fosse falsa, mentre il pensiero nella forma attiva sarebbe vero e non si potrebbe più passare automaticamente dalla forma attiva a quella passiva (e viceversa nel caso inverso). Se invece questi passaggi sono sempre possibili senza che ne vada di mezzo la verità, ciò è una conferma del fatto che quel che vi è di vero (il pensiero) non viene toccato da questo cambiamento di forma. Dunque non si deve dare tanto peso all'elemento linguistico cme spesso fanno i logici quando assumono che ogni pensiero abbia un soggetto e un predicato e mediante il pensiero sia determinato cos'è il suo soggetto e cosa il suo predicato, così come tramite l'enunciato viene indicato senza ambiguità il soggetto ed il predicato.
Frege ribadisce che bisogna evitare le espressioni "soggetto" e "predicato" non solo
perchè così vengono resi difficili i riconoscimenti, ma anche perchè così vengono nascoste le differenze esistenti. Il logico, invece, deve non seguire passivamente il linguaggio, ma liberarci dalle catene del linguaggio che è uno strumento necessario, ma non deve renderci dipendenti. Molti errori concettuali derivano dalle imperfezioni logiche del linguaggio. Quando la logica ritiene che il suo compito sia quello di descrivere il processo effettivo del pensare in realtà la logica è ridotta a psicologia : sarebbe come credere di fare astronomia elaborando una teoria psicologica di come si vede attraverso il cannocchiale. Gli oggetti veri e propri della logica vanno così perduti di vista.

Partendo dalle sue tesi, Frege cerca di demistificare la logica S/P (soggetto/predicato), ma in realtà la sua logica Funzione/Argomento è solo un'assunzione metalinguistica (con possibili rovesciamenti dialettici) della logica S/P. Infatti il passaggio è semplicemente da "S è P" a "S(è P)" : il primo è l'aspetto sintetico, dove il verbo "essere" fa da copula tra il soggetto e il predicato che sembrano separati e/o separabili. La seconda formula vede il soggetto diventare oggetto del discorso (argomento) e il predicato essere già relazionato come funzione all'oggetto ed essere inerente ad esso (come in una proposizione analitica). Essa è metalinguistica in quanto l'argomento non è che il soggetto oggettivato e virgolettato ed in quanto la relazione tra S e P è pensata come un oggetto a sua volta e dunque come interna, già assunta e non come esteriore e contingente : essa rientra nella nozione dell'oggetto

Lo scopo della logica in Frege

La distinzione di quello che in un enunciato fa parte del pensiero espresso e di quello che lo riveste soltanto, è di importanza essenziale secondo Frege per la logica. La purezza di quel che si indaga non è importante solo per il chimico, altrimenti come si potrebbe sapere con sicurezza che si è giunti per vie diverse allo stesso risultato se la differenza osservata può essere dovuta all'impurità delle sostanze impiegate ? Le prime principali scoperte scientifiche consistono di riconoscimenti (ad es. che il sole che nasce ogni giorno è sempre lo stesso sole che è tramontato il giorno prima, oppure che la stella del mattino è lo stesso che la stella della sera o ancora che il numero che si ottiene moltiplicando 5 x 3 è lo stesso che si ottiene moltiplicando 3 x 5). Reca dunque solo danno sottolineare le differenze là dove non sono rilevanti : così in meccanica ci si guardarà bene dal parlare della differenza chimica delle sostanze e dall'enunciare la legge d'inerzia per ogni elemento chimico. Si terrà conto piuttosto delle differenze che sono essenziali per la conformità a leggi di cui ci si sta al momento occupando. Meno che mia ci si deve lasciar fuorviare dalle impurità che possono essere presenti a vedere differenze là dove non ve ne sono.
In logica si devo rigettare tutte quelle distinzioni che possono venir fatte esclusivamente dal punto di vista psicologico : l'approfondimento psicologico della logica è in realtà la sua distorsione.
Originariamente nell'uomo il pensiero è mescolato al sentimento ed alla rappresentazione. La logica ha il compito di isolare l'elemento logico nella sua purezza, non cancellando le rappresentazioni, ma operando una distinzione tra queste ultime e la dimensione logica.

Frege giustamente come Meyerson evidenzia che la scienza è fatta fondamentalmente da riconoscimenti, da identità, da equivalenze. Essa circoscrivendo il proprio ambito evita le distinzioni che non sono funzionali all'ipotesi in discussione ed al livello ontologico e di ricerca considerato. Tuttavia questo non implica il fatto che l'elemento logico vada separato da quello emozionale del discorso.
Facendo l'esempio della meccanica dove sono irrilevanti le differenze chimiche tra sostanze,Frege non tiene conto dell'elettromagnetismo o della meccanica quantistica dove le differenze chimiche tra sostanze sono euristicamente utili per elaborare nuove ipotesi sulla costituzione elementare della materia
Comunque i pregiudizi di Frege sono evidenti quando egli dice che l'approfondimento psicologico della logica è una distorsione psicologica della logica. Infatti l'approfondimento psicologico ci può dire molte cose sulla logica stessa, dal momento che la riflessione sulla logica non rientra nella logica, ma nella filosofia per cui non c'è alcuna contaminazione psicologistica della logica.

Enunciati e pensieri in Frege

Anche la differenza tra forma attiva e forma passiva fa parte per Frege dei problemi legati al rapporto tra enunciati e pensieri. Ad es. l'enunciato "M diede ad N la notizia A" esprime lo stesso pensiero di "La notizia A fu data ad N da M" e di "N ricevette da M la notizia A". Da nessuno di essi si apprende più che dall'altro ed è quindi anche impossibile che uno sia vero e gli altri no. Tuttavia non si può dire che è del tutto indifferente usare l'uno o l'altro di questi enunciati. La preferenza va data di volta in volta per motivi estetici o stilistici. Se uno domanda "Perchè A viene tradotto prigioniero?", sarebbe innaturale rispondere "B è stato da lui assassinato", perchè ci sarebbe un salto non logico, ma dell'attenzione. In logica invece non importa dove è diretta l'attenzione.
Nel tradurre da una lingua all'altra si è spesso costretti a trascurare completamente la costruzione grammaticale originale e ciò nonostante il pensiero può rimanere il medesimo ed anzi deve rimanere tale se la traduzione è giusta.
Anche negli enunciati "Federico il Grande vinse presso Rossbach" ed "E' vero che Federico il Grande vinse presso Rossbach" abbiamo lo stesso pensiero in forme linguistiche diverse, come è già stato detto prima. Affermando il pensiero espresso dal primo enunciato affermiamo anche, con ciò stesso, il pensiero espresso dal secondo enunciato e viceversa. Non sono due distinti atti di giudizio, bensì un unico atto (da qui si vede che le categorie grammaticali di soggetto e predicato sono irrilevanti per la logica)

Nel caso di "M diede ad N la notizia A" e "La notizia A fu data ad N da M" , è vero che il valore di verità è lo stesso, ma semanticamente la situazione è diversa. L'uso di uno dei due enunciati presuppone diverse prospettive da cui partire, un contesto di volta in volta differente, un retroterra diversificato. Ad es. "La notizia A fu data ad N da M" suggerisce che l'attenzione sia rivolta appunto alla notizia A e a i suoi contenuti. Come pure l'enfasi su chi porta la notizia e su chi la riceve presuppone un' attenzione narrativa sull'uno e sull'altro. Insomma Frege si sofferma troppo sul valore di verità dell'enunciato e non sul rapporto semantico di tale proposizione con il suo contesto narrativo (o di discorso).
In realtà due proposizioni attive e passive hanno due diversi sensi, ma possono avere la stessa denotazione e cioè riferirsi allo stesso evento. A tal proposito quel che impropriamente Frege considera pensiero è il Sinn o il Bedeutung ? Si può anche dire che la forma attiva o passiva evidenziano il contesto nel quale la proposizione si inserisce, dal momento che due proposizioni possono essere entrambe vere, ma la loro congiunzione logicamente vera può essere cognitivamente insensata (es. "Piove e Napoleone morì a Sant'Elena", mentre risulta sensata "Piove e tua sorella è senza ombrello"). Nella questione in oggetto interessante è l'esempio di "Ciro è un uomo passionale e sedusse Violetta" dove è riconoscibile una relazione causale tra la prima e la seconda proposizione, mentre in "Ciro è un uomo passionale e Violetta fu sedotta da lui" tale relazione è più indiretta (non sarebbe così indiretta "Violetta è una persona suggestionabile e fu sedotta da Ciro"). Questo è un esempio di come la forma attiva e passiva possano essere considerati due sinn con la stessa denotazione o quanto meno con lo stesso valore di verità.
Così pure una proposizione del linguaggio oggetto ed una metalinguistica equivalente alla prima hanno lo stesso valore di verità ma senso ed anche denotazione diversi. Infatti nel caso della vittoria di Federico il Grande a Rossbach il contesto materiale di "E' vero che Federico il Grande vinse presso Rossbach" non è la battaglia di Rossbach o la guerra in cui tale battaglia si inserisce, ma la disputa tra gli studiosi circa la battaglia di Rossbach. Il fatto che due enunciati siano entrambi veri non implica che entrambi esprimano lo stesso pensiero : l'equivalenza logica non è l'identità semantica.

Sunday, November 04, 2007

Il rapporto tra pensiero e poesia in Frege

In un enunciato assertorio coesistono il pensiero espresso e l'asserzione della sua verità e non è facile distinguere tra le due componenti. E' possibile esprimere però un pensiero senza presentarlo al contempo come vero. Uno scienziato lo fa quando presenta quella che considera una mera ipotesi. Inoltre quando riconosciamo interiormente un pensiero come vero, giudichiamo mentre quando rendiamo noto il nostro riconoscimento, allora asseriamo. E' anche possibile pensare senza giudicare. Se spesso un enunciato non basta ad esprimere un pensiero, non è raro neppure che l'enunciato faccia di più che esprimere un pensiero : esso agisce su sentimenti ed immaginazione (poesia), ma tutto ciò è indipendente dallo scopo di esprimere i pensieri : in tal caso i suoni delle parole servono solo da stimoli sensoriali o evocando l'immagine del cavallo, non esprimono il senso del termine "cavallo" magari usato, non ci dicono le proprietà del cavallo, ma fanno sì che gli ascoltatori producano immagini diverse le une dalle altre. Infatti non si può parlare di una medesima rappresentazione sempre associabile alla parola "cavallo". La concordanza tra le rappresentazioni evocate è sempre approssimativa, dal momento che il poeta dà solo spunti la cui messa in esecuzione è propria dell'ascoltatore. Il poeta ha a disposizione molti termini sinonimi che però possono evocare ognuno di loro sentimenti molto diversi (si pensi a "camminare" e "incedere"). Ad es. se confrontiamo "Questo cane ha guaito tutta la notte" e "Questo botolo ha guaito tutta la notte", il pensiero espresso è il medesimo, ma "cane" è emotivamente neutro, mentre "botolo" suscita l'immagine di un cane sgradevole e stimola un sentimento di avversione, che però non fa parte del pensiero espresso. Quello che distingue il secondo enunciato dal primo ha il valore di un'interiezione. Si potrebbe pensare che dal secondo enunciato si apprende più che dal primo e cioè che chi parla ha una bassa opinione del cane; in tal caso la parola "botolo" conterrebbe un intero pensiero. Supponiamo allora che il primo enunciato sia vero e che uno pronunci il secondo senza avvertire lo spregio che sembra insito nel termine "botolo". Se l'obiezione fosse corretta, il secondo enunciato conterrebbe due pensieri di cui uno falso e dunque asserirebbe complessivamente una proposizione falsa, mentre il primo enunciato sarebbe vero. Su questo però non si può essere d'accordo e si dovrà piuttosto dire che l'impiego della parola "botolo" non impedisce di ritener vero anche il secondo enunciato.
Si deve cioè fare una distinzione tra i pensieri che si esprimono e quelli che si fa sì che l'ascoltatore ritenga veri, senza però che siano stati espressi : quando un comandante inganna il nemico circa la sua debolezza facendo vedere il suo esercito in varie uniformi egli non mente, ma al tempo stesso non esprime alcun pensiero, anche se la sua azione mira a far concepire certi pensieri. Tali effetti si possono produrre anche nella lingua parlata, mediante il timbro della voce e la scelta di certe parole. Naturalmente le cose stanno diversamente quando sono state convenute procedure per inviare messaggi : un pensiero che in un primo momento era solo suggerito da una certa espressione, può successivamente essere addirittura asserito con essa. Ma tali oscillazioni linguistiche non eliminano le differenze sostanziali. L'importante è che non ad ogni differenza linguistica corrisponde una differenza di pensiero e che abbiamo un mezzo per decidere cosa appartenga al pensiero e cosa no.

Ogni enunciato al tempo stesso esprime un senso e stimola in chi ascolta sensazioni, sentimenti, altre proposizioni. La netta distinzione operata da Frege tra enunciati scientifici ed enunciati poetici non ha ragione di esistere. E la tesi per cui non c'è rapporto tra senso dell'enunciato e sentimenti evocati nemmeno si può intendere in maniera rigida e schematica.
C'è anche da dire che l'immaginazione collettiva può essere plasmata e resa omogenea da processi politici e sociali in modo da fare sì che anche le rappresentazioni evocate dalla poesia possano tendere verso costellazioni di senso condivise "per amore o per forza" (non sarebbe un esito felice, ma sicuramente un esito plausibile)
Inoltre il senso di "Questo cane ha guaito tutta la notte" è, sia pure leggermente, diverso da "Questo botolo ha guaito per tutta la notte", dal momento che "botolo" non è un termine vago che ha solo una valenza emotiva, ma un lemma con un senso specifico, più preciso di quello generico di "cane".
"Questo botolo ha guaito tutta la notte" equivale a "Questo cane almeno a me è antipatico e ha guaito tutta la notte", per cui data la forte componente soggettiva del primo degli enunciati congiunti è difficile pensare che il suo valore di verità cambi rispetto a "Questo cane ha guaito tutta la notte" per quanto il senso sia diverso, dal momento che l'informazione utile a chi ascolta è inserita nel secondo dei due enunciati. In questo caso scatta un meccanismo che riduce la rilevanza cognitiva di un enunciato molecolare a quella di uno solo degli enunciati atomici che lo compongono, per cui anche se l'enunciato molecolare può essere logicamente falso (perchè è falso uno degli enunciati che lo compongono) viene considerato vero in quanto è vero, degli enunciati che lo compongono, quello che è più rilevante dal punto di vista cognitivo (in grammatica l'enunciato poco rilevante viene chiamato "incidentale" e nella proposizione analizzata viene contratto nel termine "botolo"). Qui Frege non distingue la dimensione logica e quella pragmatica dell'enunciato analizzato. Inoltre se pure l'ascoltatore non avverte lo spregio insito nel termine "botolo", tuttavia entrambi gli enunciati atomici possono essere veri perchè "botolo" indica il fatto che almeno a chi parla il cane che ha guaito tutta la notte è antipatico. Magari se l'avversione di chi parla per il cane è stata causata dalla aver esso guaito tutta la notte, si può anche trasformare l'enunciato molecolare congiunto in un implicazione che può essere resa così : "Questo cane mi è antipatico" implica "Questo cane ha guaito tutta la notte", in cui la verità del precedente è irrilevante per la verità dell'implicazione, nel senso che il precedente è solo il segno soggettivo del conseguente che è la sola proposizione cognitivamente rilevante ed effettivamente verificabile.
La distinzione fatta da Frege tra pensieri che si esprimono e quelli che si fa sì che l'ascoltatore ritenga veri, può essere linguisticamente lecita, ma semioticamente incongruente : altro è il tono con cui si dice una frase ("x è morto" detta in tono triste), altro è quando questo tono è suggerito da una parte dell'enunciato ("Purtroppo x è morto"), giacchè in questo secondo caso la tristezza verrebbe desunta anche da chi semplicemente legge una lettera.
Infine il caso del generale che fa vedere i suoi soldati con diverse uniformi, egli esprime comunque un pensiero (contrariamente a quello che dice Frege), solo che questo pensiero è falso in questo mondo possibile e dunque viene espresso per ingannare i nemici.
Ad ogni differenza linguistica corrisponde comunque una differenza di pensiero. Lo strumento di cui parla Frege non serve a distinguere ciò che è pensiero da ciò che non lo è, ma serve ad esplicitare il pensiero implicito in ogni locuzione enunciativa.

Frege e l'atto del pensiero

Non si obietti che un enunciato acquisti nel corso del tempo un altro significato, giacchè in questo caso non muta il pensiero, ma la lingua. Si parla della mutevolezza dei pensieri umani, ma qui non si tratta dei pensieri che sono ora veri, ora falsi, ma del fatto che essi vengano reputati ora veri, ora falsi. Il fatto che il termine "pensiero" sia usato in modo diverso dall'usuale non ha molta importanza (anche se Dedekind usa il termine "pensiero" in senso oggettivistico come Frege) in quanto anche in logica, come nelle altre discipline, è permesso coniare espressioni tecniche senza curarsi del fatto che siano usate in altro modo nella vita quotidiana. In tal caso nel fissare il significato, non si tratta di cogliere esattamente l'uso linguistico o di essere ligi all'etimologia delle parole, ma di rendere l'espressione il più possibile adatta all'espressione di leggi.
Non possiamo dunque intendere il pensare come una creazione di pensieri, nè il pensiero è assimilabile all'atto di pensare, quasi stesse al pensare come il salto al saltare. Tale concezione si accorda a molti modi di dire. Non si dice forse che lo stesso pensiero è stato afferrato da questo o da quello, o che si è avuto ripetutamente ? Se il pensiero fosse creato dal pensare, allora esso nascerebbe e perirebbe ad ogni momento, il che è assurdo. Come non creo l'albero quando lo vedo, così non creo il pensiero quando lo penso, nè il cervello lo secerne come il fegato la bile. Le similitudini che stanno alla base di espressioni linguistiche come "capire", "comprendere" un pensiero colgono un aspetto centrale : quel che è afferrato, quel che è concepito, capito, compreso è già là ed uno se ne appropria soltanto. Certo tali similitudini sono anche fuorvianti, perchè così siamo portati a concepire quel che è indipendente dalla nostra psiche come qualcosa di spaziale e di attuale, ma se fosse così la legge di gravità che fa muovere i corpi, li tirerebbe per le orecchie. Se si vuole parlare di un'attualità dei pensieri essa va vista nell'effetto che essi hanno sul soggetto conoscente, anche se questo effetto non deve essere confuso coi pensieri stessi. I pensieri non sono chiari, ma la chiarezza sta nel tentativo di afferrarli.
E' errato anche credere che solo i pensieri veri sussistano al di fuori della nostra psiche. Ciò che vale per "vero" vale anche per "falso" che sembrano proprietà degli enunciati o degli oggetti, ma sono invece proprietà dei pensieri : ciò che è falso è falso in sè indipendentemente dalla nostra opinione ed una disputa sulla falsità è pur sempre una disputa sulla verità.

Qui Frege da un lato ha ragione nel dare al contenuto dei pensieri (le idee intese platonisticamente) una consistenza atemporale indipendente dalla soggettività conoscente. D'altro canto egli sbaglia ad appellare come "pensiero" le idee (o noemi), mentre pensiero è semplicemente l'afferrare psichicamente le idee, la controparte psichica in termini di flusso di coscienza delle strutture e degli oggetti logici atemporali che appunto andrebbero più coerentemente chiamati noemi (Husserl).
Frege sbaglia anche nel pensare che una scienza possa impunemente nominare i propri oggetti usando arbitrariamente il lessico del linguaggio naturale, ma tale superficialità ha un costo notevole dal momento che crea analogie fuorvianti tra diversi oggetti e dunque genera malintesi pericolosi per l'apprendimento di teorie nuove e per l'unità del sapere. Il dare il nome è forse un'operazione in cui ci vuole una sensibilità storica non comune e non è dunque una procedura da prendere sotto gamba. Il mancato rispetto della continuità storica del significato di un termine o va motivato volendo evidenziare particolari non rilevati riguardanti l'oggetto a cui ci si riferisce con quel termine o va evitato attraverso una distinzione terminologica. In realtà si tratta di trovare un equilibrio tra l'istanza diciamo "filologica" (alla Vico più che alla Heidegger) dove si collega un termine alla tradizione che lo ha materiato e l'istanza della pratica quotidiana (Wittgenstein) dove si collega un termine al contesto materiale e quotidiano nel quale si deve concretizzare. Forti di queste due ricognizioni parallele bisogna o adattare il termine all'espressione di nuove conoscenze scientifiche o trovare un nuovo termine che sintetizzi un aspetto dell'oggetto indicato la cui novità non è riconducibile al vecchio lessico.

Frege e l'incompletezza degli enunciati rispetto ai pensieri

La teoria dell'indipendenza del pensiero dal pensante sembrerebbe contraddetta dal fatto che un enunciato come "Io ho freddo" può essere vero per uno e falso per un altro, e dunque non vero in sè. Ciò dipende dal fatto che questo enunciato, proferito da persone diverse, esprime pensieri diversi. Le semplici parole non contengono l'intero senso, ma si deve tenere conto di colui che le pronuncia. Così, in molti casi, la lingua parlata richiede l'accompagnamento dei gesti, dell'espressione del volto e delle circostanze accessorie. La parola "io" appunto designa persone diverse in enunciati proferiti da persone diverse. Non è necessario che il pensiero che si ha freddo sia pronunziato da colui che ha freddo : ciò può essere fatto anche da un altro che designi con il nome proprio colui che ha freddo. Il pensiero dunque può avere come rivestimento un enunciato più idoneo a mostrare la sua indipendenza dal soggetto pensante. E' in virtù di questa possibilità che il pensiero si differenzia da uno stato d'animo che può essere esternato con un'interiezione. A parole come "qui" e "ora" viene conferito un senso completo sempre e solo dalle circostanze in cui vengono impiegate. All'enunciato "Piove", va aggiunto il dove e il quando. Questo enunciato, una volta scritto, spesso non ha più un senso completo, essendo venuti meno quegli accenni al dove e al quando e a chi l'ha proferito. Per il senso di un enunciato come "Questa rosa è bella" contenente un giudizio estetico, è essenziale chi lo proferisce, anche se la parola "io" non vi figura. Tutte queste apparenti eccezioni vanno spiegate osservando che lo stesso enunciato non sempre esprime lo stesso pensiero, perchè le frasi richiedono integrazione per ottenere un senso completo, perchè le frasi richiedono integrazione per ottenere un senso completo e tale integrazione può variare a seconda delle circostanze.
Mentre le rappresentazioni sono proteiformi e fluttuano senza confini netti, i pensieri rimangono costanti, atemporali e aspaziali : se risultasse ad es. che la legge di gravitazione non è più vera da un certo momento in poi, dovrenno concludere che non è affatto vera, e ci sforzeremmo di trovarne un altra che se ne differenzi per una condizione che in un certo momento è soddisfatta e in un altro non lo è. Lo stesso vale per il luogo : se risultasse che nei dintorni di Sirio non vale la legge di gravitazione, si cercherebbe un'altra legge con una condizione che risultasse soddisfatta nel nostro sistema solare, ma non nei dintorni di Sirio. Se contro l'atemporalità dei pensieri si volesse addurre poniamo, che "Il numero degli abitanti dello Stato tedesco ammonta a 52.000.000" si può ben rispondere che quest'enunciato non è l'espressione completa di un pensiero, perchè manca la determinazione temporale. Se questa viene sopperita, ad es. dicendo "Il primo Gennaio 1897 a mezzogiorno secondo l'orario europeo" in tal caso o il pensiero è vero (e rimane vero per sempre) o meglio, è atemporalmente vero, oppure è falso e tale è definitivamente. Ciò vale per ogni fatto storico singolo: se esso è vero, è tale indipendentemente dal tempo in cui è giudicato.


Frege qui anticipa l'analisi degli indicali e ne intuisce la natura dialettica che rende indeterminati gli enunciati nei quali essi sono inseriti (i quali sono perciò funzioni proposizionali). Egli però non si rende conto che tale indeterminatezza concerne molti più enunciati di quanto non si pensi e spesso riguarda molti enunciati riguardanti leggi, i quali per quanto possano essere precisati accolgono in sè sempre una sia pur minima misura di vaghezza.
Inoltre Frege non si rende conto che gli enunciati indeterminati lo sono solo rispetto ad un predefinito livello di esistenza, mentre rispetto a livelli di esistenza più basici sono invece perfettamente determinati. Una variabile infatti è un oggetto nel senso più pieno del termine al suo proprio livello di esistenza.
Inoltre un enunciato indeterminato ha un senso proprio e dunque esprime un pensiero che però si può concretizzare in più pensieri ad un livello diverso di esistenza : si tratta di diversi livelli di astrazione dei pensieri e non si può dire che in sè l'enunciato con un indicale non esprima un pensiero, ma solo che può avere diversi valori di verità a seconda dell'oggetto che lo satura.
Tale saturazione si ha più facilmente quando l'enunciato indeterminato si situa in un contesto complesso già dato (come la realtà fisica), contesto che corrisponde ad una serie di enunciati che si congiunge (con il connettivo "et") all'enunciato indeterminato preso in considerazione
Inoltre "Io sento freddo" può equivalere a "Tim Robbins sente freddo" se Tim Robbins proferisce verbalmente o mentalmente questo pensiero, ma il senso dei due enunciati è comunque diverso, proprio perchè essi si riferiscono ad un diverso livello di esistenza.
Gli indicali, come intuì l'Idealismo tedesco, contengono in forma contratta i rinvii ad infinitum che Frege cerca di utilizzare contro le definizioni e le problematiche connesse ad es. con il termine "Vero". L'Io ad es. sfugge di continuo alla definizione, ma questa fuga è inevitabile, sia considerata nel tempo (storicismo) che nello spazio (relativismo culturale), per cui il relativismo che Frege ha cercato a tutti i costi di evitare, rientra dalla finestra degli indicali.
Frege alla fine non riesce nè a spiegare nè a trovare posto a questi ultimi. Dire come fa lui che a volte la lingua parlata richiede l'accompagnamento di gesti, espressioni etc. non vuol dir niente. "Io ho freddo" non ha bisogno di accompagnamento o meglio quello che Frege e i filosofi ordinari del linguaggio cercano nel contesto extralinguistico è già implicito nell'enunciato che ha in sè il suo rinvio ad infinitum, la sua relatività senza che questa possa essere considerata contraddittoria. L'Io è al tempo stesso variabile e caso concreto.
Dire poi che non è necessario che il pensiero che si ha freddo debba essere pronunciato da chi prova questa sensazione è il massimo dell'iperbole cui arriva il pensiero analitico : il pensiero "io ho freddo" va delegato ad altri ? O bisogna parlare di sè in terza persona come i servi o i robot ? Qui si vede come nel pensiero analitico il problema della soggettività e della prassi (ed anche della libertà, come accusa Imre Toth) è assente. Anche se bisogna ammettere che la possibilità di trascendere la soggettività da parte del linguaggio è un'altra conquista che va tutelata, dove all'infinità della prospettiva si succede l'infinità dello spazio comune, dell'oggettività, del sapere. Frege giustamente nota che questa capacità di parlare in terza persona consente al pensiero di differenziarsi da un puro e semplice stato di animo. Ma entrambe le facce della medaglia vanno valorizzate, mentre Frege si irrigidisce nella falsa oggettività della neutralità asettica della scienza, neutralità che vedremo esploderà con il fallito tentativo neopositivista. Se la via soggettiva ha in sè il rischio del solipsismo, la via dogmatica ha in sè il rischio dell'ideologia.
Inoltre il fatto che il senso delle proposizioni con indicali venga solo e sempre completato dalle circostanze in cui vengano impiegate, vale in realtà per tutti gli enunciati : cos'è un nome proprio infatti se non un indicale non dichiarato (e perciò ancora più fuorviante) ?
Il fatto che i fattori esterni possano aiutare a comprendere il senso di un enunciato non vanno psicologisticamente confusi con i fattori che semanticamente conferiscono senso all'enunciato in questione. Il fatto è che, in sè, alcuni termini hanno un'inesauribilità, un rinvio, un'indeterminatezza che consente ad ogni soggetto di utilizzarli. Ciò vale in generale per il linguaggio (che nel designare provoca uno sdoppiamento tra l'ente designato e il segno che lo designa ed occupa il suo posto), ma in particolare per alcuni termini (indicali, quantificatori, alcuni predicati soprattutto negativi) che proprio per questo fanno parte del lessico della filosofia e della metafisica (Io, Infinito, Tutto).
Frege poi impropriamente ricomprende nelle proposizioni che vanno integrate (al pari di quelle con indicali) anche le proposizioni estetiche, senza giustificare tale relazione se non con il ricorso ad una tesi pregiudiziale tutta da dimostrare e cioè quella della soggettività dei giudizi estetici.
Frege ancora non spiega perchè ed in che misura l'integrazione degli enunciati da parte del contesto debba variare e non chiarifica i gradi di indeterminazione dei diversi enunciati. Egli lascia sospettare che a svolgere tale integrazione saranno delle rappresentazioni, ma queste ultime se non sono pensiero come potranno assolvere tale compito ? Frege chiama rappresentazione ciò che fluttua e pensiero ciò che rimane costante, pensando forse che ci sia qualcosa in comune tra ciò che fluttua e qualcosa in comune tra tutto ciò che rimane costante. Non si affatica mica a inseguire ciò che fluttua ed al tempo stesso si ostina a mettere toppe ed a trovare pensieri nascosti in altri pensieri, quando a fluttuare sembrano essere i pensieri stessi
Inoltre il tentativo di determinare il senso di un enunciato attraverso precise coordinate spazio-temporali è un tentativo destinato al fallimento in quanto tali coordinate alla fine si riducono ad una prospettiva soggettiva che implica inevitabilmente un ritorno all'indeterminazione (ad es. degli indicali). Il tentativo di precisare le circostanze in cui un evento ha luogo costringe a determinare a loro volta in quanto eventi le stesse circostanze che dovrebbero fornire lo sfondo. Il fatto poi che le proposizioni al passato non siano verificabili empiricamente fa sì che la verità di un evento sia pure puntuale sia incerta. La tesi secondo cui comunque quell'evento è veramente accaduto o meno, va presupposta o dimostrata in altro modo. Se cambia il riconoscimento della verità di un enunciato e non la verità dell'enunciato stesso, ciò dipende da una stabilità della realtà che va metafisicamente dimostrata.