Wednesday, August 15, 2007

Concetto e oggetto in G. Frege

In uno scritto del 1892 "Concetto e Oggetto", ancora più geniale e coraggioso di "Funzione e concetto", Frege cerca di chiarire il rapporto tra concetto ed oggetto nella sua filosofia, alla luce delle critiche a lui portate da Benno Kerry.
Frege ammette che il termine "concetto" viene usato sia in senso logico che in senso psicologistico. Ma osserva che la critica di Kerry alla sua definizione di concetto, fraintende il fatto che non v'è una definizione di "concetto" dacchè quest'ultimo è logicamente semplice. Frege aggiunge (hegelianamente direi) che ciò che è logicamente semplice, non viene dato sin da principio, ma viene storicamente acquisito con il lavoro scientifico. Se si trova qualcosa che è semplice si dovrà coniare una nuova denominazione, giacchè la lingua non ha già un'espressione ad esso corrispondente. Dunque in tal caso non ci resta che guidare il lettore con dei cenni per fargli capire cosa intendiamo.
Frege dice che Kerry non è d'accordo con la forte distinzione tra concetto ed oggetto. L'esponente della scuola di Brentano obietta che si può ad es. essere sia padre che figlio. Frege osserva che se esistessero esseri che fossero sì padri, ma che per loro intrinseca costituzione non potessero essere figli, essi sarebbero di una specie diversa da quella di tutti gli uomini che sono figli.
Poi Frege risponde che il concetto è predicativo e cioè è la denotazione di un predicato grammaticale, mentre il nome di un oggetto, il nome proprio non è assolutamente in grado di essere usato come predicato.
Frege si chiede retoricamente "Non si può dire di qualcosa che è Alessandro Magno o che è il numero '4' o che è il pianeta Venere, proprio come si dice che è verde o è un mammifero ?"
Frege dice che chi pensa che ciò sia possibile dimostra di non saper distinguere i modi di usare la parola "è". In "Questa foglia è verde", "è" funge da copula, da termine formale di asserzione, tale da poter essere sostituito anche dalla desinenza verbale, per cui si può anche dire "Questa foglia verdeggia". Diciamo in questo caso che qualcosa cade sotto un concetto e che il predicato grammaticale denota questo concetto, anche se bisogna distinguere il cadere di un oggetto sotto il concetto ("Questa foglia è verde") e la subordinazione di un concetto ad altro concetto ("I mammiferi sono animali") Invece, in "La stella del mattino è Venere", "è" viene usato come un segno di uguaglianza in aritmetica e cioè per esprimere appunto un'equazione.
Nell'enunciato "la stella del mattino è Venere", abbiamo due nomi propri per lo stesso oggetto ("Stella del mattino" e "Venere"), mentre in "La stella del mattino è un pianeta" abbiamo un nome proprio e un termine denotante un concetto ("pianeta"). La relazione in tal caso, dice Frege, è diventata del tutto diversa : un'equazione è simmetrica, ma il cadere di un oggetto sotto un concetto no. L'"è" dell'enunciato "La stella del mattino è Venere" non è una semplice copula, ma è esso stesso parte integrante del predicato, così che la parola "Venere" non è tutto il predicato. Al posto dell'enunciato in questione si potrebbe dire : "La stella del mattino non è altro che Venere" e questa volta l'"è" di "non è altro che" è davvero una copula. Ciò che qui viene asserito non è "Venere", ma "non altro che Venere" : queste parole denotano un concetto sotto il quale cade sicuramente un solo oggetto, ma tale concetto va sempre distinto dall'oggetto. Abbiamo qui una parola, "Venere", che non può essere propriamente un predicato, sebbene possa formare una parte di un predicato. La denotazione di questa parola non può mai presentarsi come un concetto, ma solo come un oggetto.
Frege ammette che ci sono concetti che possono sembrare anche di essere oggetti : ad es. un concetto può cadere sotto un concetto superiore, cosa che non va confusa con la subordinazione di un concetto ad un altro. Kerry fa l'esempio di "Il concetto 'cavallo' è un concetto facilmente costituibile". Egli ritiene che il concetto "cavallo" sia un oggetto e cioè uno degli oggetti che cadono sotto il concetto "concetto facilmente costituibile". Frege osserva che le tre parole "Il concetto 'cavallo' " designano un oggetto ma proprio per questo non designano nessun concetto. Infatti l'articolo determinativo rimanda sempre ad un oggetto, tranne quando il singolare sta per il plurale (tipo "il cavallo è un animale quadrupede" che sta per "Tutti i cavalli sono animali quadrupedi"), mentre l'articolo indeterminativo accompagna un termine denotante un concetto.
Frege , a Kerry, per il quale non si possono fondare regole logiche su distinzioni linguistiche, precisa che nessuno che voglia stabilire delle regole logiche può evitare di fondarsi su tali distinzioni, perchè senza la lingua non ci si potrebbe intendere. Se Kerry sostiene che nell'enunciato "Il concetto di cui proprio ora sto parlando è un concetto individuale", "Il concetto di cui proprio ora sto parlando" denota un concetto, allora egli non intende la parola "concetto" nel senso da lui indicato.
Frege a questo punto fa una digressione ed accenna al problema se ci siano espressioni linguistiche equivalenti : ci sono alcuni che lo negano, come negano che una parola possa essere tradotta con esattezza in un'altra lingua, e addirittura c'è chi nega che una parola possa essere intesa in modo equivalente anch da parlanti la stessa lingua. Frege dice a tal proposito che vi è qualcosa di comune (il sinn)in espressioni diverse e si riesce ad esprimere lo stesso senso in modi diversi e malgrado tutta la particolarità delle lingue, l'umanità ha un tesoro di pensieri comuni. Egli aggiunge che se si volesse proibire ogni mutamento delle espressioni, ogni definizione sarebbe falsa e la logica, che dovrebbe riconoscere il pensiero (il sinn) attraverso le sue molteplici forme, sarebbe paralizzata.
Certo, ammette Frege, il fatto che il concetto 'cavallo' non è un concetto può rappresentare un paradosso, quando invece la città di Napoli è una città e il vulcano 'Vesuvio' un vulcano. Che questo sia un caso particolare lo evidenzia lo stesso Kerry, mettendo tra virgolette il termine "cavallo", mentre non v'è nessun motivo per mettere tra virgolette Napoli o Vesuvio. Nelle ricerche logiche, quando si ha bisogno di asserire qualcosa di un concetto e di far sì che ciò che è asserito del concetto sia il contenuto del predicato grammaticale, allora ci si aspetterebbe che il concetto sia la denotazione del soggetto grammaticale, ma il concetto come tale non può svolgere questa funzione a causa della sua natura predicativa : dovrà prima mutarsi in oggetto o meglio essere rappresentato da un oggetto che noi designiamo anteponendogli la parola "Il concetto", come ad es. in "Il concetto 'uomo' non è vuoto", dove "Il concetto 'uomo' " va inteso come un nome proprio (segno che designa un oggetto) che al pari di "Berlino" e "Vesuvio" non può essere usato predicativamente.
Frege aggiunge che,se diciamo "Gesù cade sotto il concetto 'uomo' ", il predicato è "cadente sotto il concetto uomo" e ciò denota la stessa cosa di "un uomo". Invece il complesso "Il concetto 'uomo' " è solo una parte di questo predicato.
Anche nel caso di "Tutti i mammiferi hanno il sangue rosso", in cui sembra che il soggetto sia un concetto, non si può non riconoscere la natura predicativa di un concetto (che è solo un caso particolare di incompletezza e di insaturazione di una funzione logica) dal momento che si può anche dire " Ciò che è mammifero ha sangue rosso" oppure "Se qualcosa è un mammifero, ha sangue rosso".
Frege continua dicendo che, intendendo in senso linguistico "predicato" e "soggetto" si può dire che concetto è la denotazione di un predicato, mentre l'oggetto è ciò che non può mai costituire l'intera denotazione di un predicato, mentre può costituire la denotazione di un soggetto. Di conseguenza si deve osservare che i termini quantificatori (tutti, alcuni, nessuno) stanno davanti a termini denotanti concetti. Negli enunciati universali e particolari negativi o affermativi esprimiamo relazioni tra concetti e indichiamo con i quantificatori il tipo particolare di relazione. Da un punto di vista logico, tali parole non vanno dunque collegate con i termini denotanti concetti che immediatamente le seguono, ma vanno messe in relazione con l'intero enunciato. Questo lo si vede facilmente nel caso della negazione. Se nell'enunciato "Tutti i mammiferi abitano sulla terraferma", il complesso di parole "Tutti i mammiferi" esprimesse il soggetto logico del predicato "abitano sulla terraferma", allora per negare l'enunciato basterebbe negare il predicato e dire "non abitano sulla terraferma". Sappiamo invece che la negazione deve essere premessa a "Tutti", il che dimostra che "Tutti" appartiene logicamente al predicato. Invece, per negare l'enunciato "Il concetto 'mammifero' è subordinato al concetto 'vivente sulla terraferma' " basta negare il predicato, ossia dire "Non è subordinato a...".
Frege conclude questa parte del suo saggio dicendo che, dal momento che espressioni come "Il concetto F" designano oggetti ma non concetti, le obiezioni di Kerry vengono a cadere ed egli è in errore anche quando dice che Frege stesso identifica concetto ed estensione del concetto, quando in realtà Frege dice che nell'enunciato "Il numero che spetta al concetto F è l'estensione del concetto 'numericamente equivalente al concetto F' " il termine "estensione del concetto F" può essere sostituito con "concetto F", termine che non a caso è preceduto dall'articolo determinativo e dunque non indica un concetto.
Frege poi avverte che contro le sue tesi si potrebbe tentare di usare i suoi stessi scritti, laddove egli dice che l'attribuzione di un numero contiene un'affermazione intorno ad un concetto o quando definisce l'esistenza come "proprietà di un concetto". Frege però precisa a tal proposito che ad es. nella proposizione "C'è almeno una radice quadrata di '4' " non viene affermato proprio nulla nè del numero '2' nè del numero '-2', ma di un concetto ovvero "radice quadrata di 4" e precisamente viene affermato che esso non è vuoto. Se esprimiamo lo stesso pensiero in quest'altra forma "il concetto 'radice quadrata di 4' non è vuoto", "Il concetto 'radice quadrata di 4' " costituisce un oggetto ed è su questo oggetto che viene affermata qualcosa. Ma la seconda affernazione non è identica alla prima, amche se ciò può sembrare strano a chi non riconosca che il pensiero può essere scomposto in più modi e quindi ora questo ed ora quello possono comparire in esso come soggetto e come predicato. Che cosa venga preso come soggetto non è determinato dal pensiero stesso, ma dal modo di scomporre il giudizio. Differenti enunciti, dice Frege, possono esprimere lo stesso pensiero e perciò nel nostro pensiero si potrebbe anche trovare un asserzione intorno al numero '4' tipo "Il numero '4' ha la proprietà che c'è qualcosa di cui esso è quadrato".
La lingua, continua Frege, ha i mezzi per far apparire comne soggetto ora questa, ora quella parte del pensiero (si veda ad es. il passaggio da forma attiva e forma passiva). Dunque non è impossibile che lo stesso pensiero appaia, a seconda della scomposizione effettuata, come pensiero singolare, particolare o universale. Dunque non è impossibile che lo stesso enunciato può essere inteso come asserzione intorno ad un concetto o ad un oggetto : basterà tener presente che si tratta di due asserzioni diverse.
Frege fa poi l'esempio di "C'è almeno una radice quadrata di '4' " dove non è possibile sostituire "radice quadrata di '4' " con "Il concetto 'radice quadrata di 4' ". L'asserzione che si addice al concetto non si addice all'oggetto. Sebbene l'enunciato in questione non facci apparire il concetto come soggetto, tuttavia dice qualcosa intorno al concetto e si può intendere questo fatto come se venisse espresso il cadere di un concetto sotto un altro superiore. Con questo però non viene cancellata la differenza tra oggetto e concetto. Nell'enunciato "C'è almeno una radice quadrata di '4' " il concetto infatti non rinnega la sua natura predicativa. Si può dire a tal proposito "C'è qualcosa che ha la proprietà di darci '4' se moltiplicata per se stessa ". Di conseguenza ciò che viene asserito di un concetto non può mai essere asserito di un oggetto. Un nome proprio non può mai essere un'espressione predicativa, ma solo parte di essa. Non si vuole dire che sia falso asserire di un oggetto ciò che viene asserito di un concetto : si vuole solo dire che tale asserzione è impossibile e senza senso.
Frege fa poi l'esempio a tal proposito dell'enunciato "C'è Giulio Cesare" che non è nè vero nè falso, ma senza senso, sebbene invece l'enunciato "C'è un uomo di nome Giulio Cesare" abbia un senso. In quest'ultimo caso però, abbiamo ancora di nuovo un concetto, come rivela la presenza dell'articolo indeterminativo. Un altro esempio è "Esiste soltanto una Vienna" dove non ci si deve lasciar ingannare dal fatto che la lingua usa talvolta la stessa parola ora come nome proprio, ora come termine denotante un concetto. Il numerale mostra che nel nostro esempio abbiamo che "Vienna" denoti un concetto, quanto lo è "città imperiale". In questo senso si può dire che "Trieste non è Vienna".
Frege poi afferma che se invece nell'enunciato "Il concetto di 'radice quadrata di 4' non è vuoto" sostituiamo il nome proprio "Il concetto di 'radice quadrata di 4'" co "Giulio Cesare" otteniamo un enunciato che ha un senso, ma è falso.. Infatti "L'essere non vuoto" può essere asserito solo di oggetti di tipo particolare come quelli che possono essere designati da nomi propri della forma "Il concetto F". Il complesso di parole "Il concetto di radice quadrata di '4' " si comportano in modo essenzialmente diverso dalle parole "Una radice quadrata di '4'" del nostro primo enunciato. Ciò vuol dire che le denotazioni di questi due complessi di parole sono essenzialmente diverse. Ciò poi che qui è stato indicato con un esempio vale in gnerale : il concetto si comporta in modo essenzialmente predicativo anche quando si asserisce qualcosa intorno ad esso e di conseguenza anche in questo caso può essere sostituito da un altro concetto, ma mai da un oggetto.
Frege passa poi a parlare dei concetti di secondo grado che sono essenzialmente diversi dai concetti di primo grado sotto i quali cadono oggetti. La relazione di un oggetto con un concetto di primo grado sotto cui cade quello stesso oggetto è diversa dalla relazione di un concetto di primo grado con quello di secondo grado. La differenza tra oggetto e concetto rimane perciò in tutto il suo rigore.
Le osservazioni di Kerry su concetti come "proprietà" e "nota caratteristica" conducono Frege a ritornare su tale argomento sulla base della terminologia da lui adottata : qualcosa può essere contemporaneamente proprietà e nota caratteristica, ma non della stessa cosa. I concetti sotto i quali cade un oggetto li si chiamerà "proprietà" di quell'oggetto sicchè " 'essere P' è una proprietà di S" equivale alla locuzione "S cade sotto il concetto di P". Se l'oggetto S ha le proprietà P,B,F, allora posso consensare tali proprietà in Ph di modo che sarà la stessa cosa dire "S ha la proprietà P, B e F" e "S ha la proprietà Ph". Chiameremo allora P, B, ed F "note caratteristiche del concetto Ph" e "proprietà dell'oggetto S". E' chiaro, aggiunge Frege, che la relazione di P con S è del tutto diversa da quella di P con Ph : S cade sotto il concetto P, ma Ph è esso stesso un concetto che non può cadere sotto il concetto di primo grado P, ma solo sotto un concetto di secondo grado. Si dirà allora che Ph è subordinato a P.
Frege fa l'esempio dei tre enunciati " '2' è un numero positivo", "'2' è un numero intero", " '2' è minore di '10'", tre enunciati che si possono unire nell'enunciato " '2' è un numero intero positivo minore di 10". Dunque concetti come "essere un numero positivo", "essere un numero intero" ed "essere minore di 10" sono proprietà dell'oggetto '2', ma sono note caratteristiche del concetto "numero positivo intero minore di 10". Tale concetto non è positivo, nè intero, nè è minore di 10. Esso è subordinato al concetto di "numero intero", ma non cade sotto di esso.
Frege poi si appunta ancora sulle osservazioni di Kerry per il quale per numero '4' si deve intendere il risultato dell'addizione di '3' ed '1', ed osserva che oscuramente Kerry ha forse intuito la distinzione tra senso e denotazione, ma non ha colto il fatto che tale equivalenza (tra '4' e '3+1') vale solo a livello denotativo. Frege poi si chiede se per Kerry, nell'enunciato "Il numero '4'è il risultato dell'addizione di '3' e '1'", la "è" si deve intendere come copula o come segno di equivalenza (equazione). Nel primo caso si dovrebbe dire "Il numero '4' è risultato dell'addizione di '3' e '1'" per cui l'oggetto "Il numero '4' " cade sotto il concetto "risultato dell'addizione di '3' e '1'". Se invece la "è" è un segno di equivalenza si dovrebbe dire che "Il numero '4' non è altro che il risultato dell'addizione di '3' e '1'". L'articolo determinativo che precede "risultato" è qui logicamente giustificato se si ammette che c'è tale risultato e non ce ne è più di uno. Allora questo complesso di parole designa un oggetto e va inteso come nome proprio.
Frege conclude che è possibile interpretare, come fa Kerry, il cadere di un oggetto sotto il concetto, come una relazione in cui una volta può apparire come oggetto ciò che un'altra volta può presentarsi come concetto. Le parole "oggetto" e "concetto" servirebbero allora solo ad indicare le diverse posizioni occupate nella relazione. Questo, dice Frege, si può fare , ma ci si sbaglia se si crede di poter evitare in tal modo la difficoltà : infatti non tutte le parti del pensiero possono essere conchiuse, ma almeno una deve essere insatura (predicativa), altrimenti le parti non si connetterebbero l'una con l'altra. Così ad es. il senso del complesso di parole "Il numero 2" non si connette a quello dell'espressione "Il concetto 'numero primo'" senza un mezzo connettivo. Questo mezzo lo adoperiamo nell'enunciato "Il numero '2' cade sotto il concetto 'numero primo' ". Esso è contenuto nelle parole "cade sotto" che richiedono un duplice collegamento (con un soggetto ed un complemento). Solo Per mezzo di questa insaturazione del loro senso, tali parole possono valere da mezzo connettivo. Ed è solo quando esse vengono integrate in questo duplice aspetto che abbiamo un senso compiuto (un pensiero). Queste parole o complessi di parole denotano una relazione. Nel caso della relazione ci troviamo di fronte le stesse difficoltà che volevamo evitare nel caso del concetto. Infatti con le parole "La relazione del cadere di un oggetto sotto un concetto" non designiamo alcuna relazione, ma un oggetto. E i tre nomi propri "Il numero '2'", "Il concetto 'numero primo'", "La relazione del cadere di un oggetto sotto un concetto" sono estranei l'uno all'altro, così come lo erano i primi due da soli. In qualsiasi modo li mettiamo insieme, non otteniamo alcun enunciato. Le difficoltà derivanti dall'insaturazione di una parte del pensiero possono essere differite, ma non aggirate mai in via definitiva.












Il fatto di considerare "concetto" come non ulteriormente definibile è a mio parere un limite della concezione di Frege. Anche perchè l'immediatezza in Hegel non è irrelata alla mediazione. Nulla si incontra nel cammino della conoscenza che non abbia una storia e che non si colleghi ad altri contenuti di conoscenza. La semplicità sta più in una intenzione dei soggetti conoscenti di iniziare da un concetto per esplorarne le potenzialità euristiche e lasciando ad altri il compito di esaminarne il fondamento. Un concetto indefinito ha poi quella determinatezza di cui si ha bisogno secondo lo stesso Frege per costituire un discorso scientifico ?
Ma come acquista tale determinatezza senza un'articolazione sua propria ? E il linguaggio dei cenni non ricorda Eraclito, o la mistica wittgensteiniana ? E che c'entra questo con lo stesso Frege ?
Quanto alla questione dei padri e dei figli, se esistessero esseri che fossero sì figli, ma che non potrebbero per loro intrinseca costituzione essere padri, tali esseri sarebbero di una specie diversa da tutti quelli che sono padri ?
Sulla differenza tra concetto ed oggetto, se il concetto è la denotazione di un predicato grammaticale e le denotazioni sono spesso nomi di oggetto, perchè concetto ed oggetto devono essere per Frege assolutamente distinti ?
Nel caso de "Tutti i mammiferi hanno sangue caldo", "mammiferi" è al tempo stesso soggetto grammaticale, ma corrisponde anche ad un predicato (ad es. "Il leone è un mammifero"). Le classi (tipo "I mammiferi") sono un momento intermedio tra un oggetto ed un predicato, una conseguenza di una sostantivizzazione del predicato
Un individuo magari non può essere un predicato, ma un concetto ha una versione (il predicato) che non può essere oggetto (ma ciò nemmeno vale nel metalinguaggio), ed una versione estensionale (la classe) che può essere oggetto. Se c'è questo momento intermedio, perchè insistere su un'assoluta separazione tra concetto ed oggetto ?
Alessandro, '4' e il pianeta Venere sono la medesima cosa ? A nostro parere '4' è sia il numero '4' (oggetto ideale) che un predicato (i moschettieri sono 4). I numeri perciò sono un'ulteriore eccezione (come le classi) alla rigida distinzione tra oggetti e concetti. 'Quattro' come soggetto sembra un individuo, mentre come predicato sembra 'rosso': dunque ha una specificità tutta sua diversa da quella di 'Alessandro Magno', 'mammifero' e 'rosso'.
Quanto alle diverse accezioni del termine "è", vanno fatte alcune osservazioni :
"Questa foglia è verde" ha lo stesso significato di "Questa foglia verdeggia" (per non parlare della "brocca che broccheggia" di Heidegger)? A mio parere no , dal momento che "questa foglia verdeggia" sembra avere un senso incompiuto, progressivo del tipo "questa foglia comincia ad avere un colore che va sul verde...", tanto che è più difficile dire se una donna è bella che "questa donna belleggia" : sarebbe come dire che è belloccia o al massimo carina.... Per cui la tesi predicativa o ausiliaria dell'Essere mi sembra inappropriata (caratterizza come temporalmente incompiuto ciò che invece ha un senso compiuto, stabile)
Quanto alla distinzione tra "cadere di un oggetto sotto un concetto" e "subordinazione di un concetto ad un altro concetto", non sembra una distinzione ad hoc ? Differenziando i termini, Frege non cerca di coprire l'analogia tra le due relazioni ? In realtà il concetto, così come afferra oggetti, non afferra anche altri concetti ? E i concetti, in quanto subordinati, non sono come gli oggetti ?
Facciamo poi, a proposito delle proposizioni con due nomi propri, l'esempio di "Questo è Saturno", dove "Questo" è un nome in senso logico (essendo segno per un oggetto individuale ostensibile). Qui in realtà c'è differenza, dal momento che appunto "Questo" si riferisce ad un sense-data o un oggetto di percezione condiviso da due osservatori nel medesimo tempo, mentre "Saturno" è comunque una cosa, un oggetto di pensiero, quanto meno una classe di sense-data. Per cui "Questo è Saturno" vede un "è" non di identità, ma inclusivo, in quanto vuole dire "Questo sense-data rientra nella classe di sense-data che è l'oggetto 'Saturno' ".
Per Frege invece non è "Saturno" il predicato di "Questo", ma "è Saturno" nel senso di "essere identico a Saturno". In realtà semmai il predicato è "identico a Saturno", "nient'altro che Saturno".
Anche detta così le cose sono un po' più complesse di quanto le dipinga Frege : in primo luogo "Questo è identico a Saturno" non equivale a "Questo è Saturno", giacchè "identico" potrebbe essere sinonimo di "indiscernibile", e pure "Questo è lo stesso che Saturno", anche se più radicale, potrebbe significare "Questo è sostituibile (equivalente) a Saturno". Infine "Questo è non altri che Saturno" vuole dire "Questo è Saturno e non è nient'altro" e dunque ripropone la locuzione "Questo è Saturno" che Frege erroneamente voleva ridurre alla proposizione che si è rivelata invece molecolare e dunque più complessa.
Inoltre "Questo è identico a Saturno" può essere scomposto sia in "Questo è (identico a Saturno)" come intende Frege considerando " identico a Saturno" come predicato, sia in "Questo è (identico a) Saturno" intendendo "identico a" come una relazione intercorrente tra "Questo" e "Saturno". Tale doppia scomponibilità, oltre a rendere convertibili relazioni e predicati attributivi, evidenzia che "è" come identità non è riducibile a nessuna formulazione predicativa,la quale invece ripropone la dualità tra i termini messi in relazione proprio quando pretende di rimuoverla. Se Frege voleva intendere che l'oggetto non può essere predicato, ma solo parte di un predicato, la nostra analisi ha anche evidenziato che quello che si considera predicato è semplicemente a sua volta un oggetto appartenente ad un livello ontologico diverso dall'oggetto denotato dal soggetto gramnmaticale.
Anche nel caso dell'enunciato "La stella del mattino è Venere" si possono formulare diverse ipotesi che rendono problematica la tesi di Frege : in primo luogo si può dire che "la stella del mattino" prima di essere un nome è una descrizione ed in quanto tale un concetto sotto il quale possono cadere più individui (es. ci possono essere due stelle del mattino), per cui "stella del mattino" è sia un oggetto che un concetto. Del resto la maggior parte dei nomi sono descrizioni contratte in un segno solo (es. "Cristoforo" vuol dire "Portatore di Cristo") e dunque i nomi sono in realtà concetti (descrizioni) mascherate : non esistono in realtà veri nomi propri (gli stessi indicali in sè possono indicare qualsiasi cosa), ma esistono intenzioni individualizzanti del parlante e d'altra parte individui ipotizzzati metafisicamente a cui si cerca di accedere attraverso termini dotati di senso e dunque sempre in qualche modo con una vocazione generalizzante. In secondo luogo si può ben dire che "La stella del mattino è Venere" vuole dire "L'insieme dei sense-data che chiamiamo "stella del mattino" è incluso nell'insieme dei sense-data che chiamiamo "Venere" " e "La stella del mattino è lo stesso che la stella della sera" vuol dire "L'insieme dei sense-data "stella del mattino" e l'insieme dei sense-data "stella della sera" sono sottoinsiemi dell'insieme dei sense-data "Venere" "
Frege dice che "Un cane" è concetto, mentre "Questo cane" è un oggetto, Ma allora si può ben dire che "cane" può essere sia concetto che oggetto. Oggetto e concetto sono funzioni logiche che possono essere entrambe svolte dallo stesso ente o dallo stesso sinn (che potrebbero ben essere la stessa cosa). La distinzione tra oggetto e concetto è formale (sintattica) e non materiale (semantica)
A Frege che dice che Venere può essere solo un oggetto e non un concetto si può poi ribattere che 'Venere' essendo un'insieme di insiemi di sense-data è più un concetto (cosa, realtà fisico-scientifica) che un oggetto.
Frege forse vorrebbe dire che 'cavallo' è un concetto, ma "il concetto 'cavallo'" essendo uno dei concetti è a sua volta un oggetto (come 'il pianeta Venere'). Questo paradosso (inteso come autoriferimento negativo per cui "il concetto 'cavallo'" non è un concetto) dà ragione però anche a Kerry e mette in questione una distinzione netta della filosofia analitica dal momento che la critica alla metafisica si basa in buona parte sulla distinzione tra oggetto e concetto, mentre il platonismo si basa proprio sulla possibilità di oggettivare i concetti (cosa che Frege non sembra poter esorcizzare nonostante le sue argomentazioni). Frege anticipa la distinzione tra linguaggio e metalinguaggio ma come i suoi successori non ammette la sovrapposizione delle due sfere (la dialettica). Ma il paradosso che lui evidenzia è proprio la cartina di tornasole della necessità di accedere alla dimensione dialettica della logica. Il paradosso può anche stare nel fatto che un concetto è qualcosa di cu facciamo uso, ma che diventa oggetto una volta menzionato (per usare le categorie di Quine).
Quando Frege poi traduce "Il cavallo è erbivoro" in "Se qualcosa è un cavallo, allora è un animale erbivoro", il secondo enunciato rivela il senso vero del primo ? E da cosa Frege deduce che alcuni enunciati siano da questo punto di vista più rilevanti di altri ? Oppure tale traducibilità è lo strumento di cui si può servire qualunque retore (sia pure analiticamente titolato) per fermarsi all'enunciato che più ammicca alla propria visione delle cose ? In realtà il senso (sinn) di "Il cavallo è erbivoro" è diverso dal senso di "Se qualcosa è un cavallo, allora è un animale erbivoro", per quanto le due proposizioni si coimplichino tra di loro ; infatti la seconda è una conseguenza epistemica (un criterio di riconoscimento) della prima che è una descrizione ontologica : poichè "il cavallo è erbivoro" allora "Se qualcosa è un cavallo, allora questo qualcosa è erbivoro" (o più correttamente "Se riconosciamo un animale come 'cavallo', allora dobbiamo concludere che questo animale è erbivoro" oppure ancora "Perchè possiamo riconoscere un animale come cavallo, quest'animale deve essere erbivoro".) Del resto la struttura implicativa dell'enunciato "Se qualcosa è un cavallo, allora questo qualcosa è erbivoro" dà un senso causale a quest'ultimo che "Tutti i cavalli sono erbivori" non ha assolutamente, dal momento che in questo caso il rapporto tra 'cavallo' ed 'erbivoro' sembra essere contingente e solo teticamente affermato.
Inoltre "Ciò che è mammifero" è un oggetto o un concetto ? E 'mammifero' in questa locuzione svolge funzione di oggetto o di concetto ? Anche qui la situazione è poco chiara.
Inoltre "Il cavallo" non è la classe dei cavalli (che non sarebbe erbivora) ma l'individualizzazione del quantificatore "Tutti i cavalli", la specie biologica, l'oggetto scientifico.
Quanto alla questione della traduzione e dell'interpretazione degli enunciati, Frege anticipa una discussione successiva (si pensi a Quine e Davidson) e ha ragione nel dire che la cultura è la prova della esistenza di una dimensione comune del senso (Spirito hegeliano, Mondo 3 di Popper). Dire però che la differenza non riguardi anche il senso forse è esagerato, come è esagerato dire che questo problema non riguarda la logica. Nella dimensione del sinn bisogna cercare l'identità e la differenza.
Relativamente alla differenza tra il concetto di cavallo e la città di Berlino essa è fittizia : anche noi diciamo "il concetto di cavallo" senza mettere le virgolette, mentre queste sono messe se diciamo "Il concetto 'cavallo' ". E' come se 'cavallo' fosse denominazione del concetto, il nome proprio di quest'ultimo. A loro volta le virgolette segnano il trapasso dal linguaggio oggetto al metalinguaggio, il momento in cui il pensiero si riferisce a se stesso e può contraddirsi : sta poi alla logica che prendiamo come riferimento considerare la contraddizione un fallimento o un auto-trascendimento del pensiero.
Quanto alla proposizione "Gesù cade sotto il concetto 'uomo' " sarebbe più corretto dire o "Gesù è un uomo" oppure " 'Gesù' cade sotto il concetto 'uomo'". Anche dire che il predicato sia "cadente sotto il concetto 'uomo'" è appropriato solo per 'Gesù', ma non per Gesù. E questo solleva altre perplessità sulle tesi di Frege : 'Gesù' è un oggetto o un concetto ? Ed un oggetto può cadere sotto un concetto o per farlo deve essere prima trasformato in concetto ? Ciò in quanto il predicato di Gesù è 'uomo', mentre "cadente sotto il concetto 'uomo'" è proprio di 'Gesù'. Se Gesù fosse un oggetto non ulteriormente decomponibile logicamente, in base a che cosa potremmo riconoscere che 'uomo' è suo predicato ? Solo se Gesù è un soggetto logico che viene definito da alcune descrizioni, ciò è possibile. E dunque solo se Gesù viene definito come 'ciò che....' e dunque considerato come concetto, che noi gli possiamo predicare l'inclusione in una classe. Frege erroneamente considera del tutto equivalenti " 'Gesù' cade sotto il concetto di 'uomo' " e "Gesù è un uomo", mentre la prima è la versione metalinguistica della seconda, ed in base a questa identificazione vorrebbe negare a 'uomo' la funzione di predicato, ma come abbiamo visto la sua tesi si basa su di una confusione di livelli.
In realtà bisogna forse pensare che predicato e soggetto sono solo funzioni grammaticali che possono essere ricoperte dagli stessi noemi e così concetto e oggetto sono funzioni logiche che possono essere ricoperte dagli stessi enti. Così, seguendo gli esempi fatti da Frege, il noema "cane" può essere concetto in "Un cane" e può essere oggetto (sempre seguendo Frege) in "Questo cane". Dunque la differenza tra concetto ed oggetto non starebbe nel contenuto, ma nel modo in cui tale contenuto viene sintatticamente inserito nella proposizione.
Il fatto che "Il risultato dell'addizione di 3 e 1" sia un oggetto è frutto del fatto che esiste almeno un risultato dell'addizione di '3' ed '1' e del fatto che tale risultato è unico. Dunque alla fine l'essere oggetto è equivalente ad una particolare estensione di un concetto e cioè si ha oggetto quando la classe corrispondente al concetto ha un solo elemento. Dunque la differenza tra oggetto e concetto anche qui ha un carattere contingente, accidentale, ma Frege artificiosamente irrigidirà tale differenza dicendo (senza a mio parere argomenti) che anche nel caso di una classe con un unico elemento, si deve distinguere tra concetto ed oggetto.
Quanto alla definizione di '4 'ci sono non a caso quattro possibilità :
A) '4' è risultato dell'addizione di '3' e '1'.
B) '4' è il risultato dell'addizione di '3' e '1'.
C) Il 4 è risultato dell'addizione di '3' e '1'
D) Il 4 è il risultato dell'addizione di '3' e '1'.
A mio parere la locuzione corretta è la (B). Infatti (A) vuole dire che '4' può essere risultato di altre combinazioni (es. '2+2'), ma anche '3+1' può denotare più numeri. (C) invece vuol dire che il '4' è solo uno dei possibili risultati di '3+1', mentre (D) vuol dire che il 4 è nient'altro che l'unico risultato di '3+1', (B) infine vuol dire che '4' è l'unico risultato di '3+1', ma è anche il risultato di altre combinazioni (es. '2+2'). Perciò in questo caso " '4' è il risultato di '3+1'" l'"è" svolge la funzione di copula e non di segno di equivalenza (giacchè '3+1' è solo una delle combinazioni che danno luogo a '4'), anche se la possibilità di equiparare '3+1' ad altre combinazioni (es. '2+2')può di nuovo rendere la "è" un segno di equivalenza. D'altro canto la combinazione '3+1' può avere una rilevanza particolare in quanto è la costituzione del numero attraverso l'operazione elementare consistente nell'aggiunta di un'unità (+1) ad un numero già costituito (3). Frege quando critica la distinzione tra '4' e 'il 4' (operata da Kerry) non tiene presente le possibilità da me denotate con (A), (B), (C) e (D). Si può dire che a tal proposito il numero '4' ha come proprietà quello che il concetto 'numero 4' ha come note caratteristiche. Del resto la distinzione tra (A), (B), (C), (D) si può anche descrivere in questo modo : A) relazione tra due concetti (o oggetti concettualizzati) B) oggetto (il risultato di '3+1') che cade sotto il concetto ('4')C) Oggetto (il '4') che cade sotto il concetto ("risultato di '3+1'") D) relazione tra due oggetti (o meglio concetti oggettivati nel metalinguaggio). Un'altra ipotesi può essere che il concetto è lo strumento per una diversa distribuzione semantica all'interno di una proposizione con predicato : ad es. in " (3+1) è (uguale a 4)", (3+1) è soggetto, mentre (uguale a 4) è predicato; invece in "(il risultato di 3+1) è (4)", (il risultato di 3+1) è soggetto e (4) è il predicato o viceversa. Insomma la scelta del concetto da evidenziare è la scelta della componente insatura da cui deve dipendere la distribuzione del senso all'interno dell'enunciato. In questo caso, la possibilità di una diversa distribuzione semantica all'interno di una proposizione è segno della interrelazione semantica tra predicato, concetto, oggetto e copula.
Andando ancora avanti, dire che "un cane" denota un concetto e non un oggetto mi sembra inesatto.
La distinzione che mi sembra più adatta è la seguente :
I)"cane" è il noema (contenuto semantico)
II) "Il cane" è il concetto, e cioè il noema inteso come oggetto (idea platonica)
III) "Un cane" è l'oggetto (un qualcosa) che cade sotto il concetto (che riconosciamo come "cane" )
IV) "Il cane Rex" oppure "Questo cane" è l'oggetto che intenzioniamo nel tentativo di individualizzarlo. Ma tale individualizzazione è un intenzione del parlante.
V) "Essere un cane" è una proprietà di un soggetto, in cui "cane" svolge la funzione del predicato che si attribuisce al soggetto stesso.
Quanto all'equivalenza tra "C'è almeno una radice quadrata di '4'" e "Il concetto 'Radice quadrata di 4' non è vuoto" essa non è tale da annullare le differenze. Infatti "C'è almeno una radice quadrata di '4'" è un asserzione su oggetti numerici che è metalinguisticamente equivalente all'asserzione che parla del concetto e del suo rapporto con oggetti ed è la dimostrazione che asserzioni equivalenti tra loro si possono riferire sia ad oggetti che a concetti (è una differenza analoga a quella tra proposizione attiva e passiva). Del resto questa è una cosa che lo stesso Frege ammette. Ma sbaglia a non trarre le conclusioni che non ci sono contenuti configurati come concetti che non siano configurabili come oggetti.
Poi dire che i quantificatori si riferiscano a concetti è una tesi parziale : dal momento che le estensioni dei concetto sono equivalenti a classi ed insiemi di oggetti, i quantificatori si riferiscono sia a concetti che ad oggetti.
Quanto all'argomento di Frege circa la negazione dell'universale affermativa, essa non ha grande rilevanza, in quanto quest'ultima è una proposizione molecolare caratterizzata dal funtore congiuntivo (et) e dove l'universale negativa è solo uno dei molteplici esempi della negazione dell'universale affermativa stessa (i casi in cui la congiunzione è falsa sono molteplici) Da questo punto di vista il quadrato aristotelico (detto anche di Occam/De Morgan) trae in inganno con la sua distinzione tra contraddittorie e contrarie, quando nelle proposizioni con quantificatori le contrarie sono un caso interno alle contraddittorie. La cosa si può anche schematizzare così : "vivono sulla terraferma" è un predicato che si predica di tutti gli appartenenti ad una classe nell'universale affermativa. La negazione inizialmente opera sul quantificatore "Tutti" che diventa "non-tutti", ma non può operare ancora sul predicato dal momento che ci sono moltissimi casi in cui ancora ad alcuni appartenenti alla classe in questione questo predicato può essere attribuito; solo quando a tutti gli appartenenti alla classe in questione non può essere attribuito il suddetto predicato, allora la negazione può essere spostata sul predicato stesso.
Il quantificatore riguarda la classe che è l'anello di congiunzione tra oggetto e concetto.
Frege poi contrappone a "Tutti i mammiferi vivono sulla terraferma" la proposizione "Il concetto 'mammifero' è subordinato al concetto 'vivente sulla terraferma'" che si negherebbe semplicemente negando la predicazione "è subordinato". In realtà le cose sono un po' più complesse, dal momento che "Il concetto 'mammifero' non è subordinato al concetto 'vivente sulla terraferma'" è un enunciato scomponibile in due proposizioni ( "Il concetto 'mammifero' è assolutamente separato dal concetto 'vivente sulla terraferma' " VEL "Il concetto 'mammifero' è parzialmente sovrapponibile al concetto 'vivente sulla terraferma'). Tale fenomeno non avviene a livello di proposizioni con quantificatori, dove è possibile verificare una esplicita distinzione enunciativa tra queste due differenti situazioni. "Il concetto 'mammifero' " individualizza "Tutti i mammiferi" e ne occulta la molteplicità interna e dunque occulta tutte le combinazioni possibili a partire da "Tutti i mammiferi", anche se tali possibili combinazioni ("Alcuni mammiferi") sono implicite nella contingenza del rapporto tra i due concetti "mammifero" e "terricolo". Il quantificatore stabilisce un certo tipo di relazione tra due concetti ("mammifero" e "terricolo") ma ciò attraverso gli oggetti che si predicano dell'essere mammifero e terricolo, per cui l'appartenenza dei quantificatori alla sfera unicamente predicativa è tesi unilaterale.
Nell'esempio poi di "C'è almeno una radice quadrata di '4' " dove non sarebbe possibile sostituire "radice quadrata di '4' " con "Il concetto 'radice quadrata di 4' ", l'argomento di Frege non è così rilevante. Infatti solo un'esigenza enunciativa (linguistica) ci costringe a sostituire a 'radice quadrata di 4' la locuzione "Il concetto 'radice quadrata di 4' ", dal momento che le sole virgolette individualizzano e oggettivano il concetto. Nella proposizione indicata quella che non può essere sostituita è la locuzione più complessa "..almeno un radice quadrata di 4". Sembrerebbe che l'oggetto sia la presenza unica ad un certo livello di esistenza di un concetto che in quanto tale ha una presenza ad un livello di esistenza di grado inferiore a quello considerato. L'oggetto è 'Scott' che ha, unico, esistenza ad un livello n+1 in relazione con "autore di 'Ivanhoe' " che ha esistenza ad un livello n. Ma ogni ente può essere al tempo stesso concetto e oggetto.
Dire che non si può predicare di un concetto quello che si può predicare di un oggetto può essere vero. Ma per la metafisica l'importante è che si possa predicare qualcosa anche di un concetto (essa ha cercato addirittura di rendere gli stessi oggetti predicati di un altro soggetto, si pensi alla nozione agostiniana di "creatura", o a quella spinoziana di "modo della sostanza") Poi va valutato caso per caso se si possano predicare le stesse cose sia dei concetti che degli oggetti. Ma Frege dal fatto che in certi enunciati non si possa sostituire un oggetto con un concetto, non può desumere che ciò che si predica di un oggetto non sia predicabile di un concetto.
Quanto all'esempio di Giulio Cesare, si può dire nella lingua italiana "c'è Giulio Cesare" se si vuole annunciare la presenza in un certo contesto spazio-temporale di un individuo che si chiama "Giulio Cesare", si può dire "Giulio Cesare esiste" se "Giulio Cesare" è il nome a cui associamo una descrizione condivisa e di cui appunto dobbiamo verificare la presenza ad un certo livello (per lo più empirico) di esistenza, si può dire "C'è un uomo di nome Giulio Cesare" se si vuole dire che esiste almeno un individuo (ad un certo livello) che ha quel nome. Quindi anche in questo caso le rigide distinzioni di Frege vanno ripensate. Come poi abbiamo visto, se "uomo di nome Giulio Cesare" è un concetto, "un uomo di nome Giulio Cesare" è un oggetto, o meglio un oggetto che cade sotto un concetto.
Quanto a "Esiste solo una Vienna" può significar almeno cose : A) Esiste solo una città che si chiama Vienna; B) Esiste solo una città che è come Vienna e questa è Vienna. In tutti e due i casi si parla di un oggetto che cade sotto un concetto, il concetto nel primo caso è "città che si chiama Vienna", nel secondo "Città come Vienna", "Vienna" nel primo caso è un nome, nel secondo un oggetto così e così descritto. Quest'ultimo caso ci può far elaborare un 'altra ipotesi : Un concetto può essere oggetto solo nel metalinguaggio, mentre nel linguaggio oggetto abbiamo a che fare sempre con oggetti che cadono sotto concetti e che a volte sono determinati con un solo concetto (es. i mammiferi), per cui a volte si fa riferimento ad un concetto (una relazione, una descrizione) da cui l'oggetto o gli oggetti indicati sembrano esaustivamente definiti.
La tesi per cui [ se nell'enunciato "Il concetto di 'radice quadrata di 4' non è vuoto" sostituiamo il nome proprio "Il concetto di 'radice quadrata di 4'" con "Giulio Cesare", otteniamo un enunciato che ha un senso, ma è falso ] è una tesi senza alcuna giustificazione : Frege sfrutta il suono cattivo di "C'è almeno il concetto di radice quadrata di '4' " per convincerci che un concetto non può sostituirsi ad un oggetto pena l'insignificanza, ma glissa sul suono cattivo di "Giulio Cesare non è vuoto" perchè la sua teoria non digerirebbe l'insignificanza di tale ultimo enunciato (un altra traduzione dell'enunciato tedesco è "Giulio Cesare è soddisfatto", enunciato che suonerebbe bene ma per una mera coincidenza). In realtà l'insignificanza come concetto dovrebbe essere esclusa dalla filosofia e dalla logica, in quanto trova spunto solo nelle incomprensioni puramente contingenti e soggettive tra esseri umani e viene fondata solo su grammatiche linguistiche che si evolvono storicamente e dunque non possono dettare legge alla logica.
Frege poi non argomenta perchè la relazione di un oggetto con un concetto di primo grado sia diversa dalla subordinazione di un concetto di primo grado ad un concetto di secondo grado (a parte le diverse parole usate), nè argomenta quali siano i criteri per distinguere concetti di primo grado da concetti di secondo grado (criteri che non siano semplicemente il fatto che i primi sono subordinati ai secondi, pena un circolo vizioso). Un primo esempio può essere quello del raffronto tra "Il leone è un mammifero" dove "il leone" è oggetto e "mammifero" un concetto di primo grado e l'enunciato "'mammifero' è un concetto classificatorio" dove 'mammifero' è un concetto di primo grado, mentre 'concetto classificatorio' è un concetto di secondo grado. Ebbene a prima vista il rapporto tra leone e mammifero e quello tra mammifero e concetto classificatorio non sembrano essere radicalmente diversi. Frege fa anche l'esempio del rapporto tra predicati e soggetto e del rapporto tra predicati e note caratteristiche, ma in realtà i soggetti sono spesso definiti attraverso note caratteristiche ad es. " '2' è un numero intero positivo minore di 10" per cui le note caratteristiche sono l'insieme di proprietà essenziali che definiscono un oggetto. Anche qui la distinzione non è così netta, dal momento che un insieme di proprietà essenziali anche se incluso in un concetto, è incluso anche in altri concetti, allo stesso modo di un oggetto che cade sotto diversi concetti ("numero intero positivo minore di 10" è incluso in "numero minore di 10", in "numero intero" e in "numero positivo" così come '2' cade sotto "numero minore di 10", "numero intero" e "numero positivo"). L'unica cosa che si può dire è che un oggetto una volta definito sta alla base di ogni gerarchia di concetti, ma fa comunque parte della stessa gerarchia.
Per quanto riguarda il rapporto tra note caratteristiche e proprietà di un oggetto, si potrebbe anche ipotizzare che le proprietà di un oggetto sono contenuto di conoscenza sintetica e pertengono al linguaggio oggetto, mentre le note caratteristiche sono i correlati equivalenti delle proprietà a livello metalinguistico, formano le definizioni degli oggetti e sono contenuto di conoscenza analitica che non sarebbe sostanzialmente diversa da quella sintetica, nel senso che il loro contenuto potrebbe essere lo stesso, mentre a cambiare sarebbe solo la loro costituzione all'interno del sistema del sapere.
Frege fa un azzardo anche quando dice che il concetto "numero positivo intero minore di 10" non è positivo, nè intero, nè è minore di 10. Infatti l'aggiunta della locuzione "Il concetto..." è una strategia retorica che avvicina il contenuto ideale "numero intero positivo minore di 10..." a "La scritta 'numero intero positivo minore di 10' ". Con questa strategia retorica Frege finisce anche per rappresentare il concetto come un che di univocamente psicologistico che ha la funzione di imitare qualche altra cosa (mentre lui almeno nei proclami cerca di conservare al concetto la sua valenza squisitamente logica). Nel caso della scritta, è ovvio che essa non è un numero e dunque non è un intero etc., ma nel caso del concetto esso non è un qualcosa che rappresenti un contenuto semantico, ma è il contenuto semantico stesso, per cui non è ovvio che esso non sia in questo caso intero, positivo e minore di 10. Anche nel caso di un concetto che si riferisce ad un oggetto, tipo 'uomo', da un lato si può dire che il concetto 'uomo' non è un concetto intelligente, ma questo è un modo fuorviante di porre il problema, dal momento che sembra più plausibile dire "Il concetto di uomo ricomprende il predicato 'intelligente' " che è l'equivalente metalinguistico di "L'uomo è un animale intelligente".
L'ultima parte del ragionamento di Frege è del tutto condivisibile ed è una versione analiticamente più credibile della critica di Bradley al concetto di relazione, in quanto sostiene che la stessa relazione può essere considerata come oggetto una volta denotata, oggetto di cui si deve individuare la relazione con gli altri due che avrebbe invece dovuto collegare. Il fatto che ci preme sottolineare è che qualunque parte del discorso può essere resa insatura (non esistono atomi logici) ed inoltre la stessa nozione di parte insatura del discorso può chiudere il discorso di filosofia del linguaggio ma ne apre uno metafisico, cosa di cui Frege non è consapevole e ciò va a sua demerito. Infatti Bradley direbbe che il rifiuto di oggettivare la relazione riserverebbe quest'ultima ad un ruolo ambiguo ed indefinito, mentre il concetto di insaturazione darebbe solo l'illusione di chiudere in un termine il rinvio della funzione logica al contesto semantico illimitato che la circonda.

Labels: , , , , , , , , , , , , ,

Tuesday, August 07, 2007

Funzione e concetto in G. Frege

Frege nel saggio "Funzione e concetto" tratta del rapporto tra la nozione filosofica di "funzione" e quella logica di "concetto".
Egli inizia con il trattare della nozione ristretta di funzione (che egli ammette aver ampliato nel corso della storia il suo ambito di riferimento) e dice che, a proposito delle funzioni matematiche ad un argomento, la necessità di loro definizione nacque quando all'epoca della scoperta dell'analisi matematica superiore, si trattò di stabilire delle leggi che valessero appunto per le funzioni, che cioè ne disciplinassero l'uso. La risposta che si è potuta ottenere storicamente è che per funzione di x, cioè F(x), si intende un'espressione di calcolo (formula) contenente x. Perciò in tal caso "2 + x" sarebbe una funzione di x, mentre "2x2+2" sarebbe una funzione di 2.
Frege però obietta che tale risposta non è soddisfacente dal momento che non distingue la forma dal contenuto, il segno dal designato. Questa è un limite che consegue dal formalismo, il quale parla di segni senza contenuto e poi attribuisce loro proprietà compatibili solo con il contenuto dei segni.
Ma allora cos'è il contenuto, la denotazione di "2X2+2" ? La stessa cosa che la denotazione di "6" ovvero di "2x3" ?
Frege dice a questo proposito che ciò che è espresso nell'equazione " 2x2+2 = 6 " è che la denotazione del complesso di segni che si trova a destra è la stessa di quello che si trova a sinistra. Chi dice che "2+5" e "3+4" sono eguali, ma non sono la stessa cosa, finisce anch'egli per confondere tra segno e designato, tra forma e contenuto, come se si volesse vedere nella violetta profumata un fiore diverso dalla viola odorata, solo perchè i due nomi suonano diversamente. La diversità della designazione non può da sola essere sufficiente a fondare la diversità del designato.
Frege ammette che nel campo matematico le cose sono meno chiare, perchè la denotazione del numerale '7' non ha nulla di sensibilmente percepibile. La tendenza a non riconoscere come oggetto nulla che non si possa percepire con i sensi porta a sua volta a ritenere che gli stessi numerali siano i numeri ed in questo caso '7' e '2+5' sarebbero certamente diversi.
Frege sostiene l'insostenibilità di simile concezione in quanto non si può parlare di alcuna proprietà aritmetica del numero senza rifarsi alla denotazione del numerale : ad es. la proprietà che ha '1' di essere il risultato della moltiplicazione di sè per sè sarebbe allora una pura invenzione, giacchè nessuna ricerca microscopica o chimica per quanto approfondita potrebbe scoprire tale proprietà nella figura che chiamiamo "numerale". E per quanto possa trattarsi di definizioni, nessuna definizione può avere capacità creatrici tali da concedere ad una cosa proprietà che essa non ha a parte quella di esprimere e designare ciò di cui la definizione stessa ce la presenta come segno (se mancano tanto il senso che la denotazione non si può parlare nè di segno nè di definizione).
Si pensi al fatto, aggiunge Frege che un giorno si potrebbero introdurre numerali del tutto nuovi (come i numeri indiani rispetto a quelli romani), ma nessuno può ritenere di avere a che fare con numeri del tutto nuovi.
Se si deve allora distinguere tra numerale e la sua denotazione, allora si dovrà anche riconoscere che le espressioni "2", "1+1", "3-1" hanno la stessa denotazione, giacchè non si vede in cosa consista la differenza. Qualcuno potrebbe dire che "1+1" è una somma e 6/3 un quoziente. Ma cos'è 6/3 ? Il numero che, moltiplicato per '3' dà '6'. IL numero e non UN numero : l'articolo determinativo indica che ce ne è uno solo.
Dunque le diverse espressioni, conclude Frege, corrispondono a diverse apprensioni ed aspetti della cosa, che resta sempre la stessa. Altrimenti dovremmo dire che l'equazione "a x a = 4" ha non solo le radici "+2" e "-2", ma anche "1+1" e infinite altre diverse tra loro. Se invece si riconosce che l'equazione ha solo due radici reali, si respinge l'opinione che il segno di eguaglianza non denota alcuna completa coincidenza, ma solo un accordo parziale.
Le espressioni di calcolo denotano numeri. E perciò se le funzioni fossero solo la denotazione di un'espressione di calcolo, allora sarebbe proprio un numero e con essa non avremmo acquisito niente di nuovo per l'aritmetica. E' vero però che chi usa la parola "funzione" è solito pensare ad espressioni in cui un numero, per mezzo di una lettera (es. x), è indicato solo in modo indeterminato : ciò però non cambia niente, giacchè quest'espressione indica pur sempre un numero per quanto in modo indeterminato. Tuttavia è proprio questa notazione, che usa la x per indicare in modo indeterminato, a metterci sulla strada giusta. Si chiama 'x' l'argomento della funzione e in (2 x 1 + 1) o (2 x 4 + 4) o (2 x 5 + 5), si riconosce la stessa funzione, solo con diversi argomenti (1,4,5). L'essenza propria della funzione sta in ciò che è comune a quelle espressioni, ciò che è presente in "2 x a + a" (abbiamo messo "a" al posto di "x") e che potremmo scrivere "2 x ( )+( )".
L'argomento, continua Frege, non appartiene alla funzione, ma forma con la funzione un tutto completo : infatti la funzione di per sè sola è incompleta, è insatura ed ha bisogno di completamento. In ciò risiede la differenza tra funzioni e numeri. L'incompletezza è l'essenza stessa della funzione e grazie ad essa noi riconosciamo la stessa funzione in formule che denotano diversi numeri, mentre riconosciamo diverse funzioni in formule che denotano lo stesso numero come ad es. "2 x 1 + 1" e "4-1". Per questo inoltre siamo facilmente indotti a vedere nella forma dell'espressione l'essenza della funzione. Nell'espressione riconosciamo la funzione per il fatto che la pensiamo scomposta e questa sua possibile scomposizione ci viene resa comprensibile dalla sua formazione.
Il segno dell'argomento e l'espressione della funzione (le due parti in cui viene scomposta la formula) sono eterogenee, perchè l'argomento è un numero, un tutto in sè conchiuso, cosa che la funzione non è. ciò può essere paragonato alla divisione di un segmento con un punto, dove si è inclini a calcolare il punto di divisione per entrambe le parti del segmento. Ma per evitare di calcolare due volte bisogna calcolare il punto di divisione solo per una parte del segmento. Questa parte è in sè pienamente conchiusa e va paragonata all'argomento, mentre dall'altra parte mancherà qualcosa. Infatti non le appartiene il punto di divisione che la completa. Se ad es. si dicesse "La funzione '2 x a + a' ", allora (a)non è da considerare come appartenente alla funzione, ma la lettera serve solo ad indicare l'integrazione necessaria, rendendo noto dove deve essere introdotto il segno dell'argomento.
Ciò che si ottiene quando si completa la funzione con il suo argomento, lo chiamiamo valore della funzione per questo argomento. Ad es. '3' è il valore della funzione "2 x a + a" per l'argomento '1' (2 x 1 + 1 = 3).
Ci sono funzioni, come ad es. "2+a-a" oppure "2+0xa", il cui valore è sempre lo stesso, qualunque sia il suo argomento. Se si calcolasse l'argomento come appartenenente alla funzione, si dovrebbe dire che il numero '2' è questa funzione. Ma non è giusto perchè comunque la funzione deve essere distinta da '2'. Infatti l'espressione di questa funzione deve sempre indicare uno o più posti che sono destinati ad essere riempiti dal segno dell'argomento.
Ad es. nella geometria analitica considerando l'argomento come valore numerico di una ascissa e il corrispondente valore della funzione come valore numerico dell'ordinata di un punto, otterremmo un insieme di punti che nei casi ordinari si presenta all'intuizione come una curva. Ogni punto della curva corrisponde ad un argomento ed al rispettivo valore della funzione. Ad es. "y = (a x a) - 4a" ci dà un a parabola; "y" indica il valore della funzione e il valore numerico dell'ordinata, mentre "a" indica l'argomento e il valore numerico dell'ascissa. Se facciamo il confronto con la funzione "a(a-4)" troveremo che le due funzioni hanno sempre lo stesso valore per lo stesso argomento e la curva della prima è la stessa di quella della seconda. Così la funzione "a(a-4)" ha lo stesso decorso di valori della funzione "(a x a) - 4a". Se scriviamo "a(a-4) = (a x a)- 4a" non eguagliamo una funzione all'altra, ma ci limitiamo ad eguagliare i valori delle due funzioni. E se intendiamo questa equazione in modo che debba valere per qualunque argomento sia sostituito ad x (o ad 'a'), avremo così espresso la generalità di un'equazione. Potremmo però anche dire "Il decorso di valori della funzione a(a-4) è uguale a quello della funzione (a x a - 4a)" ed avremo allora un'equazione tra decorsi di valori. Che sia possibile concepire la generalità di un'equazione tra valori di funzioni come un'equazione tra decorsi di valori, deve essere ritenuto una legge fondamentale anche se non ancora dimostrabile (funzione, nel senso del termine qui utilizzato, è l'antecedente logico del concetto di decorso di valori).
Si può ora, dice Frege, anche introdurre un breve modo di designare il decorso di valori di una funzione, sostituendo con una lettera maiuscola il segno dell'argomento e chiudendo tutto tra parentesi. Così E(E x E - 4E) è il decorso di valori di (a x a - 4a), mentre A(A x (A - 4)) è il decorso di valori di a(a-4), cosicchè in "E(E x E - 4E) = A(A x (A - 4))" si esprime che il primo decorso di valori è lo stesso che il secondo. L'espressione "a(a-4) = (a x a)- 4a" esprime lo stesso senso, ma in modo diverso. esso rappresenta il senso come generalità di un'equazione, mentre la nuova espressione introdotta è semplicemente un'equazione in cui sia la parte destra sia quella sinistra hanno una denotazione in sè conclusa.
Mentre in "a(a-4) = (a x a)- 4a" sia la parte destra che quella sinistra indicano un numero solo in maniera indeterminata. Potremmo sostituire ad (a) la lettera (x) senza cambiare il senso, giacchè entrambe le lettere indicano un numero solo in modo indeterminato. Ma se riuniamo entrambe le parti in un'equazione, dobbiamo scegliere per entrambe le parti la stessa lettera, ed in questo modo esprimere qualcosa che non è contenuto in nessuna delle due parti prese di per sè nè nel segno di uguaglianza. Ciò che esprimiamo è proprio la generalità, sia pure quella di un'equazione.
Come per esprimere la generalità si indica un numero in modo indeterminato con una lettera, così si deve anche indicare una funzione in modo indeterminato con una lettera. Usandosi f o F si hanno espressioni come F(x) dove x rappresenta l'argomento. Il bisogno di completamento della funzione è espresso dal fatto che la lettera f o F porta con sè una parentesi il cui spazio vuoto è destinato ad accogliere il segno dell'argomento. Perciò "E f(E)" indica il decorso di valori di una funzione lasciata indeterminata.
Come è stata ampliata la denotazione della parola "funzione" con il progredire della scienza ? In primo luogo è stato ampliato l'ambito dei tipi di calcolo che contribuiscono alla formazione di una funzione. All'addizione, moltiplicazione ed elevazione a potenza si aggiunsero diversi tipi di passaggio al limite, senza la consapevolezza della novità che ciò comportava. In secondo luogo è stato allargato l'ambito dei possibili argomenti e valori delle funzioni mediante l'assunzione dei numeri complessi. Conseguentemente si è voluto determinare più ampiamente il senso di espressioni come "somma", "prodotto" etc.
Frege dice che forse si può andare oltre in entrambi gli aspetti : è possibile introdurre oltre i segni che servono alla formazione di un'espressione (+,-,/) anche quelli (tipo =, >,<)che consentono di parlare della funzione "a x a = 1" dove 'a' rappresenta l'argomento. Il primo problema che emerge in tale contesto è quali siano i valori di questa funzione per argomenti diversi : per alcuni valori dell'argomento otterremo equazioni vere (es. a = 1 oppure a = (-1)), per altre equazioni false.
Si può affermare, dice Frege, che il valore della funzione (a x a = 1) è un valore di verità. Si può distinguere il valore di verità (il Vero) dal valore di verità del falso (il Falso). Mentre con a = 2, "a x a = 4" denota il Vero (così come "2 x 2" denota "4"), invece "a x a = 1" denota il Falso.
Perciò, dice Frege, "2 x 2 = 4" e "2>1" denotano la stessa cosa (il Vero).
Così (2 x 2 = 4)= (2>1).
Qualcuno potrebbe obiettare che "2 x 2 = 4" e "2>1" esprimono pensieri del tutto diversi. Ma anche "4x4 = 16" e "2x2x2x2 = 16" esprimono pensieri diversi, ma sono sostituibili tra loro, perchè entrambi i segni hanno la stessa denotazione. Di qui si vede che l'eguaglianza della denotazione non implica l'eguaglianza del pensiero.
Se diciamo "La stella della sera è un pianeta il cui periodo di rivoluzione è minore di quello della Terra" il pensiero così espresso è diverso da quello espresso dall'enunciato "La stella del mattino è un pianeta il cui periodo di rivoluzione è minore di quello della Terra". Infatti chi non sapesse che la stella del mattino è la stessa stella della sera, riterrebbe vero uno degli enunciati e falso l'altro. Ma la denotazione di entrambi gli enunciati deve essere la stessa perchè solo le parole "stella del mattino" e "stella della sera" sono state tra loro scambiate, parole che hanno la medesima denotazione, sono cioè nomi proprio dello stesso corpo celeste. "4x4" e "2x2x2x2" hanno la stessa denotazione, ma non lo stesso senso, non lo stesso pensiero.
Come scriviamo "2x2x2x2 = 4x4", altrettanto legittimamente possiamo scrivere "(2x2x2x2 = 4x4) = (4x4 = 4-al-quadrato)"
oppure "(2x2 = 4) = (2>1)"
Frege conclude che si va sempre più diffondendo l'opinione che l'aritmetica sia una logica ulteriormente sviluppata e che una fondazione più rigorosa delle leggi aritmetiche riconduca a leggi puramente logiche e ad esse soltanto. La lingua simbolica aritmetica deve essere ampliata sino a diventare una lingua simbolica logica.
Il valore della nostra funzione "a x a = 1" è sempre uno dei due valori di verità. Quando il valore della funzione è il Vero possiamo esprimerci così : "Il numero (-1) ha la proprietà di avere 1 come suo quadrato" oppure "(-1) è radice quadrata di (1)" oppure ancora "(-1) cade sotto il concetto di 'radice quadrata di 1' ". L'inverso avviene se il valore della funzione è il Falso. Da ciò vediamo come ciò che in logica è chiamato "concetto" sia intimamente connesso con ciò che chiamiamo "funzione". Anzi, un concetto è una funzione il cui valore è sempre un valore di verità. Anche il valore della funzione " (x+1) x (x+1) = 2 (x+1)" è sempre un valore di verità (Vero o Falso) e questo vale anche per " a x a = 1". Le due funzioni (sostituendo 'a' con 'x') hanno lo stesso valore per gli stessi argomenti. Esse dunque hanno lo stesso decorso di valori è ciò lo esprimiamo così :
E(E x E = 1) = A("(A + 1)x (A + 1)" = "2(A + 1)").
In logica ciò è chiamato "uguaglianza dell'estensione dei concetti"
Possiamo quindi designare come estensione del concetto il decorso di valori di una funzione il cui valore è per ogni argomento un valore di verità (Vero o Falso).
La forma linguistica dell'equazione è un'enunciato dichiarativo che contiene come suo senso un pensiero, o almeno pretende di contenerne uno : questo pensiero è in generale vero o falso e dunque ha un valore di verità che deve essere inteso come denotazione di un enunciato, così come il numero 4 è la denotazione dell'espressione "2+2" è Londra è la denotazione dell'espressione "la capitale dell'Inghilterra".
Gli enunciati dichiarativi possono a loro volta pensarsi scomponibili in due parti di cui una è in se stessa conchiusa, l'altra è invece insatura. Così ad es. l'enunciato "Cesare conquistò la Gallia" si può scomporre in "Cesare" e "conquistò la Gallia". Quest'ultima parte è insatura e contiene un posto vuoto : solo quando questo posto viene riempito da un nome proprio o da un'espressione fungente da nome proprio, appare un senso conchiuso. Chiamo funzione la denotazione della parte insatura, mentre Cesare è l'argomento.
Dunque non solo i numeri, ma anche gli oggetti in genere sono ammissibili come argomento : abbiamo già introdotto i valori di verità come possibili valori di funzioni, ora possiamo considerare tali anche gli oggetti, senza limitazioni. Ad es. partiamo dall'espressione "la capitale dell'Impero tedesco" che funge da nome proprio e denota un oggetto. La scomponiamo in due parti "La capitale di" e "L'impero tedesco" (utilizzando il genitivo per la prima parte), così che la prima parte è insatura, la seconda conchiusa. La prima sarà espressa come "la capitale di x", espressione di una funzione. Dato come argomento l'Impero Tedesco, avremo Berlino come valore della funzione.
Se dunque ammettiamo che gli oggetti, senza alcuna limitazione, possano figurare come argomenti e come valori di funzioni, ci possiamo chiedere che cosa viene qui chiamato oggetto. Abbiamo a che fare con qualcosa che per la sua semplicità non è suscettibile di una scomposizione logica. Possiamo dire brevemente : oggetto è tutto ciò che non è funzione e la cui espressione non contiene così alcun posto vuoto. Un enunciato dichiarativo non contiene alcun posto vuoto e pertanto la sua denotazione deve considerarsi come un oggetto. Ma questa denotazione è un valore di verità. Conseguentemente i due valori di verità sono oggetti.
L'equazione tra due decorsi di valori "E(E x E - 4E) = A(A x (A - 4))" può essere scomposta in "E(E x E - 4E)" e " ( ) = A(A x (A - 4))" . Questa seconda parte ha bisogno di completamento, in quanto alla sinistra del segno di eguaglianza c'è un posto vuoto. La prima parte, "E(E x E - 4E)", denota un oggetto perchè in sè conchiusa. I decorsi di valori di funzioni sono oggetti, mentre le funzioni stesse non lo sono. Abbiamo chiamato "E(E x E = 1)" un decorso di valori, ma potevamo anche designarlo come estensione del concetto radice quadrata di 1. Anche le estensioni dei concetti sono quindi oggetti, sebbene i concetti stessi non lo siano.
Riguardo alle denotazioni dei segni aritmetici già utilizzati, finchè gli unici oggetti con cui si ha a che fare sono i numeri interi, le lettere (a) e (b) in "a+b" indicano solo numeri interi, il segno di addizione deve essere spiegato solo nella sua utilizzazione tra numeri interi. Ogni ampliamento dell'ambito degli oggetti indicati da (a) e (b), richiede una nuova spiegazione del segno di addizione. L'imperativo del rigore scientifico sembra allora quello di prendere delle precauzioni affinchè non si effettuino inavvertitamente dei calcoli su segni vuoti, credendo invece di aver a che fare con oggetti. Tale triste esperienza la si è già fatta nel caso delle serie infinite divergenti.
E' dunque necessario stipulare delle regole dalle quali risulti cosa ad esempio denoti "# +1" qualora "#" denoti il sole. Come si stabiliscano queste regole è relativamente indifferente : la cosa essenziale è che esse siano stipulate in modo che "a+b" mantenga sempre una denotazione qualunque siano i segni di determinati oggetti che possano sostituire (a) e (b). Conseguentemente, per quel che riguarda i concetti, essi debbono avere per ogni argomento come valore un valore di verità e per ogni oggetto deve essere determinato se esso cada o no sotto il concetto.
In pratica i concetti devono essere rigorosamente delimitati, altrimenti sarebbe impossibile stabilire per loro delle leggi logiche.
Per ogni argomento x, per il quale "x+1" risulti essere senza denotazione, ne consegue che anche la funzione "x+1 = 10" non avrebbe nessun valore e quindi nessun valore di verità, cosicchè il concetto " ciò che addizionato ad '1' dà '10' " non avrebbe confini ben distinti. La rigorosa delimitazione dei concetti implica che anche per le funzioni in generale ci debba essere un valore per ogni argomento.

Le tesi di Frege qui esposte sono un grande tentativo di collegare matematica e logica e di usare i concetti matematici per fondare una filosofia del linguaggio logicamente ispirata. Si tratta di una grande avventura speculativa che criticherò senza mai smettere di ammirare.
Frege ha principalmente ragione nel dire che i formalisti da un lato parlano di segni che non abbisognano di contenuto per poi attribuire ad essi delle proprietà che possono essere proprie solo del contenuto. E' giusto dire che le proprietà numeriche non sono deducibili dai meri segni e che nessuna definizione può avere capacità creatrici tali da concedere ad una cosa proprietà che esso non ha. Se infatti mancano del tutto sia il senso che la denotazione,non si può parlare nè di segno nè di definizione. Frege qui giustamente argomenta a favore del realismo logico contro il formalismo (che a suo dire ha risvolti nominalistici)
Tuttavia da un lato Frege fa male a negare qualsiasi valenza conoscitiva a ciò che accade nella dimensione che sembra (e sottolineo "sembra") puramente segnica, mentre d'altro canto non è del tutto conseguente con il suo realismo logico nello sviluppare le sue tesi.
Infatti in primo luogo è proprio vero che la diversità della designazione non può da sola essere sufficiente a fondare la diversità del designato ? La diversità del nome o della formula non ci offre nuovi sensi che si riferiscono al denotatum ? Nuove proprietà dell'oggetto a cui ci si riferisce ? Frege dice che la mancanza nel numero della dimensione sensibile rende le cose meno chiare, dal momento che la distinzione tra segno e designato è meno netta. In realtà a nostro parere c'è una ragione più profonda di tale compenetrazione tra segno e designato ideale e la semantica potrebbe essere la dimensione propria di questo mistero. I segni sono veicoli puramente materiali del significato ? Una buona storia della notazione matematica (si pensi ad Ifrah)può problematizzare quest'assunto di partenza. L'elaborazione della notazione indo-araba ha reso possibile altre scoperte della matematica, ha evidenziato altre proprietà dei numeri. In realtà neanche i segni sono nostri (pensarlo è il principale errore del formalismo). Nostra è solo l'ulteriorità, l'atto che di volta in volta si appropria degli enti e ne fa segni di altri enti. E la semiosi stessa è un mistero : Come un ente può essere segno ? Esprimere e designare enti e proprietà di questi ultimi senza condividere queste proprietà ? Quali dimensioni del senso fanno da ponte tra un segno che non è più immagine ed una realtà che è sempre più remota ?
In secondo luogo Frege dice che per "funzione di x" si intende un'espressione di calcolo contenente x, una formula che include la lettera x, non accorgendosi che altro è un'espressione che contiene x ed altro è una formula contenente la lettera x. Infatti 'x' e la "lettera x" sono la stessa cosa ? Frege, come abbiamo visto, dice che mettere "2 + x" e "2X2+2" sullo stesso piano non è giusto, perchè non viene distinto il segno dal designato. Ma ciò vale se, come per i formalisti, 'x' è solo un segno. Perchè Frege, pur criticando il formalismo, diventa formalista quando si tratta della 'x' ? In realtà non c'è una differenza profonda tra 'x' e '2' ( Frege conviene poi su questo, ma la risultante delle sue tesi è comunque ambigua.. Il fatto che a '2' diamo una maggiore determinazione che ad 'x' è il frutto di una convenzione e di una mancanza di riflessione sulle condizioni di possibilità che sottostanno all'uso stesso dei segni. Un formalista potrebbe dire che '2' è un mero segno, come'x'. Un realista (come me) direbbe invece che 'x' rimanda ad una realtà ontologica come '2'. E' cosa diversa poi il segno dalla forma (che invece Frege sembra assimilare): la forma è una proprietà dei segni ed è già ad un livello più ideale dei segni stessi : la funzione non è un'espressione, ma il senso (sinn) dell'espressione con il segno 'x'.
Ma veniamo alla 'x'. In algebra 'x' è detta "incognita", in logica "variabile", Magari è '2', ma non lo sappiamo, lo dobbiamo scoprire. Non sapendolo può essere 1,2,3...n. Dunque 'x' non è un segno come 'casa' per una casa ? Ma un segno che sta per un numero qualsiasi ? O per un numero determinato che però non abbiamo ancora individuato ? O per quello che Biermann chiamava l'elemento indeterminato ?
'x' è una generalità, epistemicamente una variabile, cioè un numero di volta in volta diverso a seconda della forma nella quale è inserito. Non è esso stesso una forma (una forma è "2+1", la versione operazionale di un numero, una stringa, un algoritmo). Ma torneremo sulla 'x'. Ora ci soffermeremo sulla distinzione che Frege individua tra funzione ed argomento.
Frege dice che l'argomento non appartiene alla funzione, ma insieme alla funzione forma un tutto completo, perchè altrimenti la funzione sarebbe incompleta (insatura. In realtà la funzione è il Tutto composto da argomento e dalla locuzione funzionale, mentre Frege riduce la funzione allo locuzione funzionale stessa.
In realtà andrebbe distinta la funzione (locuzione funzionale + argomento), la locuzione funzionale (formula incompleta saturabile dalla concretizzazione numerica di una variabile) e schema funzionale (stringa del tutto priva di numeri e caratterizzata solo da variabili). Esempio della prima è un'operazione qualsiasi (4+5 +8),esempio della seconda è "4+5+x", esempio della terza è "x+y+z". Ma anche questa classificazione può essere considerata problematica, allo stesso modo dell'argomentazione di Frege a questo proposito. Comunque Frege confonde funzione e locuzione funzionale, mentre non prende in considerazione affatto lo schema funzionale.
Oserei dire che queste aporie sono legate alle aporie della relazione evidenziate dal vecchio provocatore F. H. Bradley. Se una funzione si può considerare una relazione, si può dire che una funzione non è il Tutto (compresi i termini relati) ad es. f(3), nè è un astratto rapporto che prescinde atomisticamente dai termini ad es. f( ), ma un che di indefinito come f(x). Dunque la variabile (x) consente anche di pensare ad una relazione ? Il massimo di purezza che una relazione/funzione può avere è possibile grazie ad una variabile/generalità ?
Ma bando alle ipotesi metafisiche e continuiamo con Frege :il quale dice che risultato della funzione completata dal suo argomento è il valore dela funzione per questo argomento. Dice Frege che, nel caso delle funzioni il cui valore è sempre lo stesso quale che sia l'argomento (es. "2+x-x" o "2+0xa") se si calcolasse l'argomento come appartenente alla funzione, allora si dovrebbe dire che il numero 2 (nei casi esemplificati) è questa funzione, ma in realtà la funzione va distinta dal valore della funzione, dal momento che l'espressione di una funzione deve sempre indicare uno o più posti destinati ad essere riempiti dall'argomento. A questi argomenti di Frege va ribattuto che la funzione è una totalità concreta, una forma interamente saturata, che può essere tranquillamente riassunta dal suo valore. Grazie a ciò, si può ben dire che "4+5+8 = 17", in cui 17 è il valore della funzione "4+5+8", ma è altresì il correlato numerico della funzione stessa. Perciò la funzione è di volta in volta il valore della funzione, così come la variabile è di volta in volta un determinato numero. Quello che Frege dice vale invece per la locuzione e per lo schema funzionale.
Funzione ed argomento dunque non sono realtà assolutamente distinte, dal momento che la funzione si concretizza sempre in un numero, così come l'argomento e nelle equazioni bisogna stabilire il valore della variabile (o delle variabili)e dunque determinare l'argomento per poi determinare il valore della funzione.
Frege poi dice che in "a(a-4) = (a x a)- 4a" ci troviamo dinanzi a due funzioni diverse che hanno sempre lo stesso valore, quale che sia l'argomento una volta determinato, dunque due funzioni che hanno lo stesso decorso di valori. In realtà è forse più opportuno dire che si tratta di due funzioni numericamente equivalenti, ma algoritmicamente differenti ( cioè con uno schema funzionale differente).
Si può asserire che tale equivalenza ("a(a-4) = (a x a)- 4a") non si può stabilire empiricamente (come si potrebbe stabilire "1+1 = 3-1") ma è stabilita dall'applicazione di regole logiche ? Per cui l'algebra è un insieme di regole per la manipolazione di segni che già collega la matematica alla logica ?
In realtà quando Frege stabilisce un'equivalenza tra la generalità di un'equazione tra valori di una funzione e l'equazione tra decorsi di valori, introducendo questi ultimi, incorre a mio parere in una ridondanza simbolica. Se infatti è possibile fondare logicamente ed operativamente l'equivalenza tra funzioni con lo stesso valore numerico, non è necessario ricorrere al decorso di valori che è già esemplificato dall'uso dello stesso segno per la variabile. Per questo motivo, perchè utilizzare un ulteriore simbolo per designare un decorso di valori che non va aggiunto alla funzione, dal momento che questa basterebbe a se stessa ?
Frege dice di sostituire con una lettera greca (qui si è utilizzata la maiuscola) il segno dell'argomento. In realtà egli aggiunge anche una lettera, altrimenti come da "(a x a)- 4a" si deriverebbe "E(E x E - 4E)" ? Forse "(a x a)- 4a" dà un'idea di apertura dal momento che come stringa può essere allungata da altre locuzioni funzionali, mentre invece il chiudere tra parentesi la funzione come in "E(E x E - 4E)" sembra darle una maggiore e più precisa determinazione, la rende conchiusa. Ma in tal caso perchè mettere di nuovo le lettere fuori della parentesi ? Inoltre Frege, come abbiamo visto dice che se riuniamo "a(a-4)" e "(a x a)- 4a" in un'equazione dobbiamo scegliere per entrambe le parti la stessa lettera, ed in questo modo esprimere qualcosa che non è contenuto in nessuna delle due parti prese di per sè nè nel segno di uguaglianza, e cioè la generalità. In realtà non si tratta semplicemente di esprimere la generalità : "a(a-4) = (a x a)- 4a" è molto diversa da "(a x a)- 4a = 1-1" con a=4. Infatti "a(a-4) = (a x a)- 4a" si può ottenere attraverso altre progressive equivalenze logiche e non è sottoposta all'equivalenza contingente del decorso dei valori come un'equazione del tipo 5-2 = 4-1 che è in realtà un'equazione 5-2 = 3 = 4-1 con un prodotto intermedio che è il valore della funzione. Tali equivalenze sono possibili solo se l'argomento è lo stesso sia nella parte sinistra che in quella destra dell'equazione. Invece nel caso di "E(E x E - 4E) = A(A x (A - 4))" , a parte la complicazione grafica, l'equivalenza risulta essere assolutamente contingente e delegata alla verifica del decorso dei valori nella funzione. Tutto ciò però a scapito dell'esistenza cara a Frege di leggi logiche alla base di quelle della matematica.
Frege estende poi la denotazione della parola "funzione". Questa è la parte più interessante ed azzardata del suo tentativo : infatti il valore della funzione da valore numerico diventa valore di verità. Tale estensione metaforica va giustificata.
Altro è dire che "2x2 = 4" e "2>1" sono veri, altro è dire che "(2x2 = 4) = (2>1)". Altrimenti saremmo alla logica primitiva per cui se "A è bello" e "B è bello" allora A=B. Frege ritorna al ragionamento che Platone problematizzò nel Sofista ?
Frege argomenta che due espressioni che denotano la stessa cosa, non per questo esprimono lo stesso pensiero (ad es. "4x4 = 16" e "2x2x2x2 = 16" esprimono pensieri diversi, ma sono sostituibili tra loro, perchè entrambi i segni hanno la stessa denotazione). Tuttavia il fatto che non tutte le espressioni denotanti la stessa cosa esprimono lo stesso pensiero, non implica che tutte le espressioni che non formulano lo stesso pensiero abbiano la stessa denotazione. Tocca sempre a Frege fornire le ragioni per cui "2x2 = 4" e "2>1" denotano la stessa cosa.
L'analogia con la "stella del mattino" e la "stella della sera" non è del tutto appropriata, in quanto tali espressioni che linguisticamente sono ricomprese nel sinn si riferiscono a dei sense-data o a dei fenomeni fisici. Essi perciò comporterebbero una riflessione a parte. Dire infatti che "stella del mattino" e "stella della sera" sono nomi propri dello stesso corpo celeste è semplicistico. Sono in realtà nomi che si riferiscono attraverso due diversi sinn a due fenomeni diversi che vengono ricondotti ad uno stesso oggetto tramite una teoria.
Frege potrebbe sostenere forse che "(2x2 = 4) = (2>1)" se trasformasse tale rapporto in un equivalenza logica giustificata da tutta una serie di equivalenze. Se cioè si riuscisse a trasformare la matematica in una serie di equivalenze o almeno di implicazioni in modo da trasformarla in una gigantesca proposizione molecolare con un' unica denotazione : Il Vero. Ma questo non è il programma di Hilbert ?
Quando Frege dice poi che un concetto è una funzione il cui valore è sempre un valore di verità, in quanto l'asserto in cui si risolve una funzione sarebbe del tipo "S è P" che in quanto tale è vero o falso, c'è da dire che sarebbe opportuno introdurre distinzioni più sottili corrispondentemente a quella tra funzione, locuzione funzionale e schema funzionale. Si può dire che alla funzione concreta corrispone il concetto che è l'unione tra il soggetto (argomento) e il predicato (locuzione funzionale), unione che può essere asserita o negata (vera o falsa); al predicato corrispone la locuzione funzionale dove l'argomento è ancora la variabile considerata come incognita; allo schema funzionale corrisponde invece la predicazione (relazione predicativa), dove entrambi (soggetto e predicato) sono variabili. Hegelianamente il concetto è visto come funzione concreta, come un che di proposizionale.
Frege dice che il concetto è il cadere di un oggetto sotto di esso. A parte la circolarità della definizione (che contiene cioè ciò che vuole definire e dunque rinvia ad infinitum la stessa definizione), perchè allora Frege parla del concetto di "radice quadrata di 1", dal momento che nessun oggetto cade sotto questo concetto ? Forse perchè anche l'insieme vuoto è un insieme ? Il non cadere sotto un concetto è pur sempre un cadere ? In realtà solo in una concezione dialettica la tesi della coimplicazione tra concetto e valore di verità può avere senso : il concetto non può essere il solo predicato, ma l'intera proposizione.
Inoltre anche dire che '4' è denotazione di '2+2' è sbagliato. Si può magari dire che 4 è denotazione di "4" e 2+2 di "2+2", o che denotazione di "4" e di "2+2" è lo stesso numero.
Anche dire che Londra è la denotazione de "la capitale dell'Inghilterra" è errato : si può dire che "Londra" è un nome di cui uno dei sensi è "La capitale dell'Inghilterra" e la cui denotazione è la città di Londra, della quale i diversi sensi evidenziano proprietà e relazioni con altro oggetti.
Frege divide poi "Cesare conquistò la Gallia" in I) Cesare (parte satura e completa) e II)...conquistò la Gallia (parte insatura e incompleta). Ma perchè considerare l'argomento Cesare invece che come componente satura, come un termine di più relazioni ? Infatti la proposizione suddetta si può dividere anche in I) Cesare conquistò...(parte insatura e incompleta) e II) la Gallia (parte satura e completa).Come a dire che (x + 4) può corrispondere a (5 + y) sempre che X=5 e y=4. Non solo Cesare è un argomento, ma anche la Gallia, anche se qualcuno potrebbe dire che il soggetto grammaticale di un enunciato è l'argomento di una proposizione, mentre un altro complemento grammaticale dell'enunciato è solo indirettamente argomento della stessa proposizione, ma di questo parleremo un'altra volta.
Frege opera anche un'altra estensione e cioè dai valori di verità come possibili valori di funzioni agli stessi oggetti come possibili valori di funzioni : ad es. in "La capitale dell'Impero tedesco" (con "La capitale di..." parte insatura, espressione di una funzione se accompagnata dalla variabile, e "Impero tedesco" parte satura e argomento della funzione) "Berlino" è il valore della funzione, cioè la risposta alla domanda "Qual è la capitale dell'Impero Tedesco?", così come "17" è il valore della funzione "4x + 5" con x=3. Qui l'analogia di Frege con la funzione matematica è più pertinente, perchè "Berlino" è una risposta ad una domanda così come "17" nel caso suddetto. In questi casi si stabilisce una equivalenza (tra "4x + 5" e "17" e tra "La capitale dell'Impero tedesco" e "Berlino"), mentre nel caso del valore di verità si valuta un'equivalenza già data e si è in una dimensione metalogica dove le alternative non sono illimitate (numeri o oggetti) ma bivalenti (vero o falso). E questo per non evidenziare che anche in "la capitale dell'Impero tedesco" è possibile operare una divisione utilizzando un altro criterio e cioè tra "La capitale" (parte satura) e "dell'Impero tedesco" (parte insatura). In base a questo ragionamento come si può pensare in base alla prima distinzione alla "Capitale dell'Impero Austriaco",così in base alla seconda distinzione si può pensare a "Il Kaiser dell'Impero tedesco".
E poi ancora se la funzione, in contrapposizione all'oggetto, viene considerata come qualcosa che contiene un posto vuoto, che ne è del valore della funzione come valore di verità, visto che la funzione rimane qualcosa di vago ? Anche qui Frege sconta la sua ambiguità, dal momento che da un lato concepisce la funzione come qualcosa che non è saturato (la locuzione funzionale) dall'altro ritiene che si possa concepire una funzione saturata (quello che io chiamo la funzione vera e propria) quando l'argomento non è più una variabile, ma un oggetto definito
Inoltre Frege dal fatto che l'oggetto è un qualcosa che non contiene posti vuoti (un atomo logico ?) e dal fatto che un enunciato dichiarativo non contiene alcun posto vuoto, ne deduce che la sua denotazione deve considerarsi come un oggetto. Ma questa denotazione è un valore di verità. Conseguentemente i due valori di verità sono oggetti. Anche qui l'appartenenza alla stessa classe ("non contenente posti vuoti")
di due elementi (oggetti, enunciati e conseguentemente valori di verità) porta arbitrariamente all'equivalenza tra enunciati ed oggetti e tra valori di verità ed oggetti. In realtà il valore della funzione è un oggetto, se la funzione è un concetto, il valore della funzione è un valore di verità se la funzione è una proposizione, l'oggetto è la denotazione del linguaggio oggetto, il valore di verità è invece la denotazione a livello-metalinguistico : perchè si possano considerare i valori di verità come oggetti, bisogna identificare concetti e proposizioni, sovrapporre linguaggio e metalinguaggio. Insomma si tratta di un'operazione che ha implicazioni che vanno affrontate esplicitamente.
Frege riduce ad oggetti non solo i valori di verità delle funzioni, ma anche il decorso di valori delle funzioni. Ma quest'ultimo è la stessa funzione con la sua variabile (o posto vuoto), cosa di cui invece Frege non si accorge dal momento che sulla distinzione tra valore di una funzione e funzione stessa egli basa buona parte della sua tesi. Ma del resto se "(a x a) - 4a" equivale ad un numero, perchè la funzione non deve equivalere al valore della funzione stessa ?
Frege equiparando decorso di valori e estensione del concetto, considera quest'ultimo come un oggetto, anche se non fa la stessa cosa con il concetto stesso: Perchè mai questo ? L'estensione di un concetto non è l'esplicazione del concetto ad un certo livello di analisi ? Perchè rendere la distinzione tra concetto e sua estensione un che di rigido ? Perchè rendere l'estensione di un concetto con la formula ridondante del decorso di valori e non sintetizzarla nella funzione stessa con la sua variabile ? La variabile non esemplifica senza aggiunte la generalità ? O meglio la generalità non è indissolubilmente legata alla interpretazione del segno, dal momento che il segno stesso rende la generalità un particolare tra tanti, per cui aggiungere segni (o sostituire le variabile con una parentesi vuota) è un'inutile fatica di Sisifo ?
Frege anticipa in un certo senso il principio di verificazione, in un senso addirittura allargato anche all'ambito logico-ideale, quando dice che bisogna stare attenti ad evitare che un'espressione diventi priva di denotazione. Forse per "denotazione" egli intende "determinazione", ma allora in che senso la denotazione si differenzierebbe dal sinn ? E perchè per Frege è parzialmente indifferente come si stabiliscano le regole da cui risulti cosa denoti "# +1" ? Il come è fuori dall'analisi filosofica ? Perchè dalla possibilità di stabilire la denotazione dipende la possibilità di stabilire leggi logiche per i concetti ? Perchè le leggi logiche sono legate necessariamente al valore di verità ? Ma ciò non vale solo per la logica proposizionale ? Se dobbiamo avere un valore di verità per ogni concetto, quest'ultimo è assimilabile ad una proposizione ? Una funzione " x + 1 " senza denotazione potrebbe avere sinn ?
Insomma , questo scritto di Frege è ad un tempo tra i più geniali e tra i puiù ambigui ed azzardati. Esso per essere meglio compreso abbisogna della lettura e dello studio degli altri suoi saggi scritti in questo periodo

Labels: , , , , , , , , , , , , , , ,

Sunday, August 05, 2007

Concetto e rappresentazione in Frege

G.Frege nel saggio "Concetto e rappresentazione"(1891) critica il fatto che spesso si confondano appunto il concetto, caratterizzato da una validità ed un carattere oggettivo e la rappresentazione, che invece ha come caratteristica prima la soggettività.
Frege dice che :

Il concetto è un tema ed uno strumento della logica. Non è necessario che risulti privo di contraddizioni. L'importante è che sia ben delimitato. Infatti, ciò che non rivela una precisa delimitazione non è riconoscibile in logica come concetto.
Lo scopo che in qualunque scienza deve guidarci alla formazione di una sua lingua tecnica è di riuscire ad enunciare le leggi di tale scienza nella forma più semplice possibile e pure assolutamente esatta.
Per il concetto logico rigorosamente inteso non esiste alcuno sviluppo, alcuna storia. Più che di"evoluzione storica di un concetto" si deve parlare di "storia della comprensione di un concetto". Il concetto infatti è qualcosa di oggettivo che non viene costruito per opera nostra, ma è qualcosa che noi possiamo solo cercare di afferrare.
La proposizione "Il numero 3 cade sotto il concetto di numero primo" costituisce una verità oggettiva indipendente dalla rappresentazione che noi ci facciamo di essa, dal nostro stato psicologico, dal fatto che esisteranno o meno esseri coscienti che riconosceranno tale verità.

Una contraddizione insita in un concetto non costituisce affatto un motivo per il suo sviluppo : il concetto "disuguale da se stesso" contiene una contraddizione e ciò malgrado non muta, ma rimane quel che è. E' un concetto logico la cui delimitazione è precisa e può essere usato per la definizione del numero "zero".
Anche nel caso del movimento non sono contraddizioni insite nel suo concetto quelle che ci spingono a trasformarlo. Certamente si rivelarono in esso contraddizioni, ma non perchè nella definizione di movimento risultino riunite caratteristiche che si contraddicono a vicenda, bensì perchè si è considerato come concetto qualcosa che non lo è, mancando di precisa delimitazione. Furono le contraddizioni a spingere la ricerca; ma non contraddizioni insite nel concetto, perchè queste portano sempre una delimitazione precisa (nulla può cadere sotto un concetto contraddittorio) . Ciò che spinge la ricerca è il percepire che vi è una delimitazione confusa.
Così anche nel caso del movimento, tutti gli sforzi furono diretti a cercare una delimitazione precisa del suo concetto. Essi risultarono vani, perchè non esiste demarcazione in quella direzione e se ne è quindi scoperta un'altra non tra moto e quiete, ma tra moto inerziale e quiete inerziale.
Il termine rappresentazione va invece attribuito alla psicologia. Non si può parlare di una rappresentazione senza specificare chi ne sia il portatore, giacchè la rappresentazione di un soggetto è sempre diversa da quella di un altro.


Le tesi di Frege sono interessanti e colgono aspetti nodali del pensiero.
Esse hanno a che fare con i rapporti tra platonismo ed hegelismo : quali sono i rapporti tra le idee ? C'è un movimento ? C'è uno sviluppo ? Qual è il rapporto tra Idea e Concetto ? Tra in-sè e per-sè ?
Ma c'è un rapporto anche con la tematica sviluppata da Putnam e Kripke su i designatori rigidi (si veda la questione di "oro" o di "H2O"). Riguardo a questa questione si può ipotizzare che c'è un nome a cui possono corrispondere diversi sensi, ma questi sensi sono ben delimitati e sono relazionati ed inviluppati gli uni negli altri grazie al fatto che cadono sotto lo stesso nome.
Le tesi di Frege sono una critica indiretta all'hegelismo : mentre per Hegel il logico non ha un rapporto meramente estrinseco con lo storico (e dunque con l'empirico, l'estetico e lo psichico) , per Frege bisogna distinguere nettamente i due ambiti. Frege è a buon titolo un platonista : il concetto contraddittorio è pur sempre un concetto definito. E come tale non può cambiare, nè deve farlo.
Per l'hegelismo invece il concetto contraddittorio, in quanto tale genera il cambiamento. E' difficile dire chi dei due indirizzi valorizzi più la contraddizione.
L'hegelismo ne fa qualcosa di fecondo ma proprio per il fatto che non può reggersi su se stessa. Frege fa l'esatto opposto. Il suo approccio per certi versi sembra più rispettoso per la contraddizione in sè considerata. Tuttavia l'esempio che egli fa dello zero come "diseguale da se stesso" è alla base di uno sviluppo che porta poi all'uno ed alla serie numerica, per cui la posizione hegeliana mantiene un suo fascino ed una sua plausibilità. Frege pensa alla distinzione tra i singoli fotogrammi di una pellicola, l'hegelismo allo scorrere della pellicola stessa, che mette in un continuum temporale i singoli fotogrammi. Un problema per Frege è come si concilia la sua posizione con il fatto che vi sono concetti non immediatamente contraddittori, concetti che possono avere una contraddizione tra le loro note caratteristiche e dunque non immediatamente evidenti

A mio parere, c'è un livello ontologico ideale dove le idee sono tutte distinte tra loro ed immutabili e dove anche la contraddizione ha una sua consistenza propria. C'è poi un livello storico-epistemico dove le idee si trasformano reciprocamente e dove le contraddizioni fanno da motore del divenire. Tale secondo livello è solo fenomenologico e conoscitivo, dal momento che anche le relazioni tra concetti sono date ab aeterno. Tuttavia la verità dell'approccio storico è che esso ci impedisce di considerare dato una volta e per tutte (in un istante interno alla dimensione temporale)il contenuto di un concetto. Per cui l'evoluzione della nostra conoscenza di un concetto non ha in linea di principio nessun termine, per cui lo stesso concetto è inattingibile in maniera completa al soggetto conoscente.
Perciò è problematica anche l'esatta delimitazione del concetto, processo che può appunto essere infinito, che ha a che fare con la questione delle antinomie e del carattere a volte occulto delle contraddizioni in un sistema.
Insomma, c'è armonia tra carattere oggettivo ed extramentale del concetto e la sua delimitazione ? O l'oggettività (la realtà) ha a che fare con la vaghezza ?

Inoltre per quanto riguarda la lingua tecnica di una scienza, Frege trascura il fatto che oltre a semplicità ed esattezza, esiste un'altra variabile trascurata ed è la comprensibilità, la traducibilità che a prima vista sembra andare nella direzione opposta a quella delle prime due variabili considerate. Ma è un problema che va affrontato.

Quanto alla questione della rappresentazione, Frege ha ragione a difendere l'oggettività di "Il numero 3 cade sotto il concetto di numero primo", ma la domanda se a tale concetto corrispondano rappresentazioni analoghe anche in altri soggetti mantiene la sua importanza anche dal punto di vista puramente cognitivo.
Anche l'attribuzione esclusiva della rappresentazione al campo psicologico è un estremo. Che ne è allora dell'aspetto geometrico rappresentativo della matematica (non ci si riferisce alla disciplina analiticamente intesa, ma alla modalità di espressione di un certo sapere che sino alla geometria analitica coincideva in buona parte con la disciplina stessa)? Che ne è della rappresentazione geometrica del numero ? Che ne è del modello, concetto così importante per la matematica e le sue applicazioni ? Il modello è un concetto o una rappresentazione ? E quale rapporto ci può essere tra concetto e rappresentazione se i due livelli, i due piani sono così distinti ?
Frege dice che intendiamo per "rappresentazione" un'immagine interna. Ma cosa vuol dire "interno" ? Anche Frege (nel voler rendere soggettiva la rappresentazione) cade nel tranello dell'"interiorità". questa chimera dall'intenzione spirituale, ma dai presupposti rigidamente materialistici (in tal senso la fenomenologia, con la sua epochè, con il suo sguardo sulle datità, può essere un antidoto efficace)
Comunque sulla rappresentazione Frege dice cose interessanti : la prima che nella rappresentazione è essenziale chi la possegga, tesi discutibile, ma che anticipa profeticamente il rientro del soggetto anche nella filosofia analitica. La seconda che non si può parlare di rappresentazione senza riferirla a qualcosa (rappresentazione di...) : questa è un'ammissione circa il carattere intenzionale di molti oggetti del pensiero e di molte operazioni della mente.

Labels: , , , , , , , , , , , , ,